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CAPO III. 51

Di tutte l’arti e le scienze quella che gli antichi conobbero il meno, e che tardò più d’ogni altra a perfezionarsi, può dirsi l’arte di distinguere il verisimile dall’inverisimile, il credibile dall’incredibile. In qualunque modo si divolgasse dapprima la tradizione di una colonia troiana nel Lazio, che difficilmente vorremmo ammettere come una tradizione del paese, certo è che su tal fondamento l’adulazione istorica, tosto che la letteratura greca fu accolta, condusse apertamente i Romani a falsificare la propia lor genealogia per modo, che nessuno ignora con qual predilezione dessi stessi ostentavano la provenienza da Ilio, e da’ suoi eroi il cui nome formava il più bel decoro dei Fasti. Nulla di certo si può riferire circa il tempo nel quale i Latini vennero chiamati dai Greci gente troiana, tessendo a lor senno ora l’una, ora l’altra favola1. Né qui addurremo neppure ipotesi onde indagarlo. Al nostro intento di mostrar che questa voce prendesse radice in Roma subito dopo il suo commercio con la Grecia, basta l’aver per fatto istorico che le iscrizioni poste da Tito Quinzio Flaminio in Delfo dopo la prima guerra macedonica (an. 557), nominavano già i Romani stirpe di Enea2. E que-

    ἐς ἑαυτῶν δ’ οὐ πολὺ μὲν προσφέρονται τὸ Φιλόδημον. ὥσθ’ ὁπόταν ἔλλειψις γὲνηταί παρ’ ἐκείνων, ὀυκ ἔςι πολὺ τὸ ἀναπληρούμενον ὑπὸ τῶν ἐτέρων. Ἄλλως τὲ καὶ τῶν ὀνομὰτων ὅσα ἐνδοξὸτατα τῶν πλείστων ὄντων Ἑλληνικῶν iii. p. 114.

  1. Dionys. i. 72.
  2. Plutarch. Flamin.