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CAPO VII. 105

che tenevano di qua dell’Arno, vennero i guerreggianti Etruschi, come di sopra dicemmo, in podestà di tutte le loro terre, sottoponendo i vinti a tollerabile dominio1.  Non è incredibile che in questi lunghi e ostinatissimi contrasti di guerra, si adoperassero anche, come aiuti, quei venturieri Pelasghi, che vennero qua di Tessaglia, e vi diedero mano or all’una, ora all’altra impresa: ma Plinio, che raccoglieva ogni sorta di tradizioni, e scriveva in fretta, contraddice apertamente a se stesso, quando fa scacciare gli Umbri dall’Etruria per la sola forza dei Pelasghi2. Dopo tale successo, invigorite l’armi dalla naturale ansietà della potenza, crebbero gli Etruschi uniti di conquista in conquista a grande stato, afforzando la propria loro nazione e l’esercito delle genti che andavano a mano a mano facendo o tributarie, o soggette. Ed il secolo tutto guerriero incitava non poco a imprese coraggiose animi forti, e compagnie di soldati. Chè non altro erano ne’ suoi principj popoli d’incerto stato, e non ancora ben fermi, nè disciplinati. Ma la catastrofe degli Umbri diede agli Etruschi con istabile fondamento di potenza, anche l’opportunità di ordinarsi a miglior vita politica. Perchè già possessori di tutto lo spazio in tra l’Arno e il Tevere; occupanti la marina del Tirreno; e signori di fertile e ricco paese; quivi attesero a darsi stato, ed a legitti-

  1. Vedi p. 77.
  2. Plin. iii. 5.