Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. I.djvu/217

Da Wikisource.

CAPO VII. 157

perio romano con titolo di socj italici, e privo ciascuno della facoltà di farsi ragione con l’arme, nessuna garanzia nè difesa potevano dare i nomi dove più non esistevan le cose. Ma il governo municipale, all’ombra di cui seguitarono a reggersi le città disciolte dal legittimo nodo federale, era tuttavia buon compenso al peso della loro soggezione, ed alla necessità di mantenere col proprio sangue la grandezza di un popolo oppressore. La già dominante aristocrazia s’avvicinò d’allora in poi più dappresso a’ suoi novelli signori; separò i suoi sentimenti e l’util suo da quelli delle masse popolari, e ne fu anche rimunerata a luogo e tempo con ispecial favore e protezione: in quel modo che i Licinj, potente famiglia, coll’appoggio del romano senato contennero in casa i popolani d’Arezzo1. Gli aruspici stessi, interpreti del poter sovrano, fecero la loro pace, e divennero anch’essi quasi istrumenti della romana signoria. Perciocchè illanguidita, ma non ispenta affatto la riverenza sacerdotale, durava ancora potentissimamente nell’ordine loro il proficuo celato monopolio della maestria tremenda delle divinazioni. E la forzata generale obbedienza di ciascuno, insinuatasi a poco a poco in animi prostrati, nulla meno tendeva di sua natura a scemare e rallentare il desiderio delle già ambite opre cittadinesche. Ebbe in tal guisa da indi innanzi l’Etruria calma e non riposo: pompe senza gloria: servitù con

  1. Liv. x. 3.