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CAPO X. 219

genda che fossero i Latini originati da una mano di quegli Achei, che di ritorno da Troja vennero da furia di vento trasportati alla costa del Lazio, terra degli Opici, dove le donne troiane prigioniere v’incendiarono le navi: la navigazione d’Evandro co’ suoi Arcadi; il mito d’Ercole: infine altre storie e finzioni collegate massimamente o con l’epoca pelasga, o con la troiana. Non v’ha dubbio alcuno che tutte queste variate leggende, accomodate e formate sopra le tradizioni greche, non sorgessero in origine dalla fantasia de’ Greci, sempre fecondi d’invenzioni, e sempre pronti a rinvenire il proprio sangue, ovunque fosse per venirne loro gloria e nominanza. E già si vede che al tempo d’Esiodo correva nell’Ellade un qualche mito intorno a queste contrade, note a’ naviganti, da che egli cantava per figli d’Ulisse e di Circe, Latino ed Agrio, dominatori de’ celebri Tirreni1. Ma quando Roma stessa aggrandì coll’armi, ed i Greci stanziati in Italia dal grido del suo nome furono avvertiti del potere e del valor di quei barbari, si può presumere ch’eglino, più che altri Greci alcuni, istudiassero di porre quel popol forte fra le genealogie elleniche, e quindi pubblicassero tutto quel che porgeva di meglio la feconda immaginativa greca. Una cronica di Cuma, citata da Festo2, favoleggiava non poco sopra le origini di Roma: e dappoichè sappiamo, mediante

  1. Theogon v. 1011-15. V. sopra p. 101.
  2. Fest. v. Romam.