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26 CAPO I.

nostri insegnatori, rivestiti delle divise del sacerdozio, in porgendo al popolo, sotto il velame de’ miti e de’ simboli, documenti divini ed umani, adoperarono anch’essi acconciamente linguaggio metaforico, come il più atto a muovere il grosso intelletto de’ mortali poveri di favella: in guisa che, poetando e favoleggiando, que’ savi maestri insegnarono alle genti con forti immagini e con salutiferi precetti a viver sana e lieta vita, trasformando la loro rustichezza in mansueti costumi. Chè dove cotesti retti ammaestramenti son mancati al mondo, quivi il popolo ha vegetato senza alcun rimedio nella salvatichezza. Non è perciò maraviglia che talune delle più importanti memorie de’ prischi tempi ci si presentino tutt’ora innanzi sotto emblemi ingegnosi, drittamente chiamati da Bacone la sapienza degli antichi. Nè senza istorica verità son per certo i miti soprammentovati, posti come in mezzo tra le cose distrutte e conservate, mostrandone, con figurato linguaggio, per quali vie i nostri padri dalla vita silvestre del cacciatore e del pastore, si condussero alla vita regolata del coltivatore, e da poi al fermo stato d’unione cittadinesca. Considereremo adesso com’essi crebbero in vigore, e si formò un più accomodato ordine civile tra i principali popoli italiani.