Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. II.djvu/161

Da Wikisource.

CAPO XXII. 155

del culto, ora in Etruria, ora in Sannio1, per la fiducia di ritrovare un valore antico in un’antica istituzione, danno maravigliosamente a conoscere di qual tempera fosse stata in origine la legge. Tanto che se gli Agillesi, o Ceriti, per espiare il reato degl’insepolti corpi dei Focesi mandarono circa l’anno 220 messaggi a Delfo2; ed era quello il tempo del maggior credito della Pizia; poteva esserne stata cagione più che altro l’eccessiva severità delle religioni paterne, sì rigorose nel sacro rito dei Mani, e fors’anco insufficienti alla purgazion della colpa: poco essendo credibile che altrimenti i Ceriti s’avvisassero di ricercare sì lontano da compiacente oracolo un rimedio, che potevano con agio procacciarsi in casa. Questo continovato immutabil rigore della prima legge teocratica doveva tuttavia indebolirne la possa, e stancare al fine gli animi di un popolo occidentale, mobile, instabile, e vario per natura: ond’è che inevitabilmente scemato lo zelo, andò grado grado mancando anche il buon volere e la credenza nel popolo, soprattutto dacchè ei tolse a conoscere e venerare le religioni più liete, facili, temperate e indulgentissime dei Greci. Appresso a’ quali già di gran tempo il potere e l’autorità del sacerdozio erano venute meno con la istituzione del governo monarchico, e di tante repubbliche bene ordinate. Gli Etruschi stanziati nella

  1. Liv. Passim. Vedi Tom. i. p. 259.
  2. Herodot. i. 166.