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CAPO XXII. 163

za, quasi tutti si tiran fuori delle tombe di soli facoltosi. La qual cosa, ancorachè sì turpe, è non pertanto corrispondente alla condizione del secolo che correva, già preparato a sopportare ogni sorte di corruttela: perciocchè spenta in quel tempo la libertà; tolto ai patrizj il potere civile; ai preti scemato lo spirituale; e tuttavia l’Etruria trovandosi ancora piena d’agi e fiorente dell’antiche dovizie per indulgenza della fortuna; quegli stessi umori che innanzi eran volti in casa o al primato cittadinesco, o alle cure pubbliche, o alle faccende interne, cercarono sfogo in ogni maniera di cose nuove, dandosi gli sfaccendati, uomini liberi ed ingenui, quasi che con furore, a queste misteriose sensualità dei baccanali. Dove la viziosa concupiscenza s’ascondeva sotto il velame della religione, a causa del doppio simbolo per cui in quelle orgie s’onorava Bacco e come autore della forza generativa, e come spirito infernale1. Nè quindi esagerava Varrone narrando le oscene pompe con che si celebravano a Lavinio le feste di Bacco, durante le quali la figura stessa del Fallo, portata attorno per le pubbliche vie sopra un carretto, s’incoronava dalla più casta matrona della città2. Sì fatto micidiale fanatismo di vituperevoli sacrifizi propagatosi rapidissi-

  1. Concessa ancora qualche amplificazione nel racconto di Livio, certissimo è, che i monumenti allegati, a chi li vide, mostrano evidente ogni laida sorte di libidine e di sconvenevolezza ne’ turpi baccanali.
  2. Varro ap. August. De civ. Dei. vii. 21.