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164 CAPO XXII.

mamente, per una contagione di pestilenza, durò forse a cinquanta anni. Benchè ognora più contaminata l’onestà di sfrenate libidini, e malamente infettati i domestici costumi, crebbe a tanto nelle occulte tenebre la malvagia licenza dei baccanali, e la moltitudine prava dei baccanti1, nel corso degli ultimi venti anni, che il romano senato, a fine di provvedere alla pubblica e privata salute, li proscrisse alla volta in Roma e per tutta Italia nel 568. Che già, a dir vero, in molte città o municipj italiani i sacrifizi baccanali, secondo il costume de’ forestieri, non più della patria, v’erano allignati buono spazio di tempo, prima che in Roma2. Però da quel supremo custode della religione non furono vietati se non i più segreti e pericolosi: gli altri, d’antico istituto, seguitarono a esser permessi e continovati colle cautele prescritte nel famoso decreto dei baccanali3. Non di meno risorsero indi a poco in Puglia i riti impediti, ma vi furon tosto compressi4. Ed è un fatto degno in questo proposito di particolare considerazione, che la massima parte dei vasi dipinti che vengono di Puglia in molto numero, sien giusto rappresentativi o di

  1. Multitudinem ingentem, alterum jam prope populum esse. Liv. l. c.
  2. Liv. l. c. Fra i capi dei baccanali in Roma, o massimi sacerdoti, Livio nomina un Aulo Falisco: certamente un etrusco da Faleria.
  3. V. Matteo Egizio nella sua illustrazione del S. C.
  4. Liv. xi. 19.