Vai al contenuto

Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. II.djvu/178

Da Wikisource.
172 CAPO XXIII.

coll’egizia teosofia. Nè ciò poteva non manifestarsi altrimenti: dacchè i sacerdoti etruschi con pari sagacità avevano ristretto in un solo sistema filosofico tutto quel che appresero di tempo in tempo ne’ santuari, e nelle scuole straniere, dove frequentavano i savi. Or dunque i loro maestri in divinità ponevano qual prima causa un sommo ente innominabile d’infinita potenza, principe e massimo iddio, sovrano creatore, custode e rettore dell’universo1. Erasi questa per esso loro la suprema intelligenza demiurgica, il principio attivo, da cui emanava la materia primordiale, o il principio passivo: entrambi anima universale del mondo. Quindi è che i sacerdoti dicean convenirsi ugualmente a questa prima causa l’essere di fato, di provvidenza, di natura e di mondo: concetto filosoficamente compendiato in quella loro sentenza, che tutto ciò si vede fosse iddio, disseminato intero nelle sue parti, a se medesimo sufficiente, e alto a sostenersi per la sua propria forza2. Questo primo domma d’una sola e unica sostanza infinitamente modificata nell’universo; o altrimenti, che il mondo era dio; si trova alla volta non pure insegnato per le dottrine degli Indiani3, ma sì ancora nelle altre scuole orientali ed egizie. Quivi, dov’ebbe origine, presso che univer-

  1. V. sopra p. 101.
  2. Ipse enim est, quod vides, totus suis partibus inditus, et se sustinens vi sua. Senec. Quæst. nat. ii. 45.
  3. V. Bhagavata Gita, id est, Θεσπέσιον Μέλος. cap. ix. xi, ed. Schlegel.