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Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. II.djvu/177

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CAPO XXIII. 171

rio de’ sacerdoti1. E non dubbiamente per tutt’altrove ogni qualunque segreto di scienze od arti profane trovavasi ugualmente conceduto a benefizio d’altre schiatte, i cui antenati si diceva aver avuto una qualche ascosa comunicazione od attenenza colle nature divine. In allora i preti furono anche i primi filosofi, perchè la conoscenza della natura e della divinità stavano tra se indivise: opinando que’ savi, ed insegnando alle genti, trovarsi la ragione immediata d’ogni fenomeno fisico o morale nella sola divinità. Argomento potentissimo della mente per vigor del quale, non distinguendosi più i confini tra le cose divine e le umane, tutto lo scibile per linea ascendente divenne teologia, poichè sopra fondamenti divini parve onninamente appoggiarsi.

L’umana generazione, vaga di sapere, prova molto naturalmente il bisogno d’investigare gli arcani della sua propria origine, della creazione del mondo, dell’ordine cosmico, de’ poteri di natura; in somma, ella vorrebbe conoscere la scienza intera dell’universo. E questa universale ansietà di penetrare sì ardui problemi si mostra evidente per le teorie cosmogoniche che stanno in fronte ad ogni più vetusta mitologia: perciocchè in prima tutta l’antichità rivestiva a un modo la scienza sotto figura di favole. È cosa indubitabile che in Etruria cotali teorie si conformavano assai coll’orientale, ma più specialmente

  1. Vedi Tom. i. p. 251.