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270 CAPO XXVI.

campestri e provinciali; ed ora imprimendo un terrore valevole a chi ardisse danneggiare o il confine, o il campo, o la messe del vicino. L’antichissima istituzione degli Arvali, collegio di sacerdoti riputatissimi, avea parimente per fine tanto l’invigilare alle cose agrarie, che impetrare con preci dagl’iddii, largitori d’ogni frutto, la fecondità delle campagne. Talchè di pari concordia religione, leggi e costume, miravano con grandissima efficacia a raccomandare tra tutte le cose migliori lo studio dell’agricoltura, commettendone le utili opre a mani libere e laboriose.

Insegnatori e propagatori dell’agricoltura erano stati per noi gli stessi dei buoni e benivolenti. Quest’antica terra coltivabile era di loro dominio: essi stessi furono alla volta lavoratori e maestri d’ogni lodevole industria agraria: godevano soggiornare o per le selve, o per li colti de’ campi in mezzo a’ loro diletti: nè mai cessavano di spandere intorno l’aiuto della grazia divina, e copia di beni ai meritevoli. Questi religiosi documenti, simboleggiati di tante maniere nella mitologia italica1, dimostrano con evidenza che l’agricoltura, arte primaria, era stata ammaestramento di savi precettori dell’ordine sacerdotale. E se veramente, come dicesi, la triade degli Etruschi, od i loro Penati, rappresentavano per figura Cerere, Pale e la Fortuna2, avremmo in ciò una bella allegoria della

  1. Vedi sopra p. 96. 127.
  2. Serv. ii. 325. Vedi sopra p. 106.