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278 CAPO XXVI.

popolari. Le feste Palilie e le Lupercali, per tacer d’altre, mantenevano viva la rimembranza e gli usi d’una età di molto anteriore ai principj di Roma1. Solennità entrambi propiziatorie alle greggi ed ai pastori, nelle quali a onor della dea s’accendevano fuochi di festeggiamento. Nè solamente quest’uso contadinesco si è conservato durevole nelle nostre campagne, ma sì ancora, quasi coll’istessa perpetuità, moltissime altre consuetudini e superstizioni rusticane. Tale, per esempio, il costume tosco di por sul confine certi segnali creduti atti a toglier via le rie venture dei campi2. Fra le più strane superstizioni villesche eravi pur quella di credere, che per via di maligni carmi e d’incanti si potessero tradurre le biade altrui alla sua terra: opinione sì forte radicata nell’animo dei rustici, che diè motivo al divieto che di tali incantesimi fecero le dodici tavole. Vanamente però: giacchè ne durava la credenza nell’età di Virgilio3. La qual cosa non maraviglia a chi sa, che da per tutto sì fatte ubbìe volgari sono le ultime a perdersi.

Tanti terreni tolti alla salvatichezza, dissodati, e coltivati, avanzavano ogni dì maggiormente l’agricoltura dilatando i mezzi della produzione. Gran numero di luoghi paludosi ed infermi si mutarono in terre feconde per le fatiche incessanti degli avi: e la mae-

  1. Vedi sopra p. 147. 148.
  2. Columell. x. 348 sqq. cioè un teschio d’asinello: usanza praticata tutt’ora in qualche parte delle nostre maremme.
  3. Atque salas alio vidi traducere messas. Eglog. viii.