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CAPO XXI. 67

cumone capitano soltanto di guerra, il cui fedele compagno Mastarna, secondochò riferivano le storie etrusche, tolse appresso il nome di Servio Tulio, e tenne il regno di Roma1. Con tutto questo l’autorità loro nella città era talmente limitata dalla predominante aristocrazia, che non senza grave rischio avrebbero potuto abusare delle regie prerogative, o in qualunque altro modo eccedere i termini d’un potere rigorosamente prescritto. Quando Mezenzio, ritratto d’animo sì empio, usurpò la signoria di Cere, veggiamo il suo popolo precipitarlo tosto dal soglio, senza valutar nulla i dritti d’un figlio infelice e virtuoso. Sdegnati anzi più maggiormente i Ceriti perchè Mezenzio ha trovato asilo fra i Rutuli, richiedono l’aiuto dei confederati. Tutta Etruria è in arme per tor via quel tiranno dalle mani de’ suoi difensori, e per condurlo al supplizio; furore ugualmente approvato e dalle leggi e dagl’iddii2. Benchè, per avventura, altra vera colpa non avesse dinanzi i suoi l’audace lucumone di Cere, fuorchè aver tentato cangiare in monarchia il governo aristocratico. Sorte poco diversa successe a quel Metabo, padre della fiera Cammilla, cacciato da Priverno ne’ Volsci pel suo feroce comandare ed animo superbo3. Ugualmente per odio

  1. Claud. Caesar. in orat. ap. Gruter. p. dii.
  2. Ergo omnis furiis surrexit Etruria justis:
    Regem ad supplicium praesenti Marte reposcunt.

    Virgil. viii. 494

  3. Virgil. xi. 535.; Cato ad. Serv. ad. h. l. — Questi casi, che