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Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. II.djvu/74

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68 CAPO XXI.

del potere assoluto furono abbandonati dalla lega intera i Vejenti, che in rischioso frangente s’aveano eletto un capo investito di non ordinaria potestà1. La dottrina stessa simbolica degli aruspici dava per presagio funestissimo di governo regio la caduta di certi fulmini in libera città2. Ed a meglio manifestare quanto inveterate e propagate si fossero ancor tra i vicini dintorno queste credenze etrusche vaglia il racconto, che talune rovine di edifizj le quali, dice Dionisio, si resero visibili per grande siccità nel fondo del lago Albano, confermarono nel popolo la tradizione antica, ch’elle fossero il palazzo sprofondato d’un empio re punito dai cieli3. Di tal modo religione, leggi e costume, salvarono l’Etruria dalla tirannide d’un solo; ma non pertanto nulla meno esorbitante, benchè coperta dal dritto sacro, durava l’autorità dell’aristocrazia potente.

L’istituzione del governo è mezzo indispensabile a rendere efficace la legge fondamentale della città. La quale, per la condizione dei tempi che qui consideriamo, era unicamente appoggiata al principio teocratico, convertito in domma irrefragabile di diritto, e di

    trasse Virgilio dalle memorie prische, possono francamente ammettersi nella storia. Il cortigiano d’Augusto non avrebbe mai dato posto nel suo poema a tali episodj, qualora non fossero stati confermati con divolgate narrazioni.

  1. Liv. v. 1.
  2. Caecinna ap. Senec. Quaest. nat. ii. 49.
  3. Dionys. i. 71.