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coltivala massimamente nell’Asia minore; ovvero, se più aggrada, la Diana antica di Delo. Il vestiario sì tanto speciale dei due divini gemelli, e la stessa loro positura immota, non possono essere fantasie del pittore: bensì l’imitazione vera d’un qualche idolo molto antico di quelle deità medesime di foggia ieratica; appunto come si vede effigiato il vetusto idolo di Minerva nei vasi panatenaici. La tunica candida che veste Apollo poteva essere di porpora bianca1.

Nell’altra faccia di questo singolarissimo vaso dubito del tema. Benchè siavi stato un Apollo barbuto, venerato nella Siria, come dice Luciano2, o l’autore più antico che ne porta il nome, pure l’essere quest’unica figura priva della benda divina; quel vestiario sì molto singolare e di foggia sì nuova; finalmente questa particolarità certo non casuale, che la lira quivi figurata tanto diligentemente dal pittore ha nove corde, laddove quella che tocca Apollo ne ha sette soltanto, mi ha fatto pensare ad altro soggetto, non male confacente all’argomento principale dei misteri, nè punto disdicevole a quello del quadro pitturato nell’altro lato. Mi pare dunque riconoscervi Orfeo, il figlio d’Eagro e della musa Calliope che per altra tradizione divolgata da poeti dicevasi pure genito di Apollo. Alunno di questo iddio medesimo nella musica e nella poesia, n’ebbe in dono la lira, cui aggiunse due corde alle sette che

  1. V. Amati De restit. purpur. p. 2.
  2. De dea Syr.
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