Pagina:Storia dei fatti de Langobardi - vol 1.djvu/122

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libro ii. capo xxviii. 107

me di tutto il suo corpo erano quelle di un uomo nato per esser guerriero. Ai nostri giorni Giselberto, che fu duca dei Veronesi, aperse la sua sepoltura, e portò via la sua spada con tutti quegli altri ornamenti che vi potè ritrovare. Costui, con quella millanteria che suole usarsi cogli ignoranti, dava ad intendere, che Alboino gli era apparso in visione1.

  1. Alboino deve considerarsi qual fondatore della potenza Longobarda in Italia. Fu questi un capo che sapea meditare un’impresa colla rapidità di un animo sommamente vasto ed audace. La calata che fece dalle alpi Friulane, e i provvedimenti ordinati in questo estremo confine d’Italia, ove era facile l’ingresso delle nazioni da lui abbandonate, palesano la perspicacia della sua mente, come la dimostrano eziandio tutti i fatti militari da esso operati fino al giorno della sua morte. Alcune virtù però spiegate da questo Barbaro nacquero piuttosto dal temperamento, che da veruna riflessione della sua mente. In generale le sue azioni erano tutte tinte del costume de’ Barbari; anzi in taluna ei spinse al grado sublime (se così si può dir) la ferocia. Era usanza de’ popoli settentrionali il ber l’idromele nei cranj dei loro nemici (Mallet Introd. alla Stor. di Danim.); ma il far bere per trastullo la moglie nel cranio del proprio padre, è una finezza di crudeltà, che può appartenere ad un uomo bestiale, non mai ad un popolo quantunque si voglia feroce. Ma le virtù militari coprono, o almeno adombrano i più grandi difetti: perciò Alboino fa un personaggio istorico che destò l’ammirazione non solo de’ suoi, ma anco de’ popoli soggiogati. Finirò coll’osservare, che la conqui-