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156 LIBRO TERZO — 1794.

fu corso in tre ore, le materie vomitate erano tante che parevano maggior volume del monte intero.

Ciò nella notte. Batteva l’ora ma non spuntava la luce del giorno, trattenuta dalla cenere, che densa e bruna dirottamente pioveva molte miglia in giro della città. Lo spettacolo di notte continua oppresse l’animo degli abitanti, che volgendosi, come è costume delle moltitudini, agli argomenti di religione, uomini e donne di ogni età o condizione, con piedi scalzi, chiome scielte e funi appese al collo per segno di penitenza, andavano processionando dalla città al ponte della Maddalena, dove si adora una statua di san Gennaro, per memoria di creduto miracolo in altra eruzione; così che sia scolpita in attitudine di comandare al volcano di arrestarsi. Colà giunte le processioni, quelle de’ gentiluomini pregavano le consuete orazioni a voce bassa, quelle del popolo gridavano canzone allora composta nello stile plebeo. Ed in quel mezzo si vedeva cerimonia più veneranda; il cardinale arcivescovo di Napoli, e tutto il clero in abito sacerdotale, portando del medesimo santo la statua d’oro e le ampolle del sangue, fermarsi al ponte, volgere incontro al monte la sacra immagine, ed invocar per salmi la clemenza di Dio. Nè cessarono i disastri della natura. Potendo la cenere adunata sopra i tetti e i terrazzi rovinar col peso gli edifizii, il magistrato della città bandì che si sgomberasse; e più del comando valendo il pericolo, subito dall’alto si gettarono quelle materie su le strade oscurando viepiù e bruttando il paese. Non si vide, si udì giunger la notte da’ consueti tocchi della campana; ma dopo alcune ore si addensarono tenebre così piene come in un luogo chiuso; nè la città in quel tempo era illuminata da lampadi; e i cittadini intimoriti da’ tremuoti, non osando ripararsi nelle case, stavano dolenti per le strade o piazze ad aspettare l’abisso estremo. Al dì vegnente, che fu il terzo, scemò la oscurità ma per luce sì scarsa che il sole appariva, come al tramonto, pallido e fosco: diradarono le piove delle ceneri, cessò il fuoco ed il tuono del volcano. Quello aspetto di sicurtà, le patite fatiche, la stanchezza, invitarono gli abitanti a tornare alle case; ma nella notte nuovo remoto li destò e impaurì; e mentre la terra tremava, udito uno scroscio come di mille rovine, temeva ogni città che la città vicina fosse caduta.

Il nuovo giorno palesò il vero, perchè fu visto il monte troncato dalla cima, e quella inghiottita nelle voragini del volcano; sì che il tremuoto e lo scroscio della sera, da’ precipizii. E se prima il monte Vesuvio torreggiava su la montagna di Somma che gli siede appresso, oggi, mutate le veci, questa si estolle. Essendo quelli gli ultimi fatti della eruzione, per non dire de’ soliti diluvii e delle frane, io raccoglierò delle cose che avvennero, le più notabili. La parte troncata del monte era di figura conica; l’asse tremila metri (circa