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vita del colletta. 7


Entrati i Tedeschi in Napoli, v’entrò poco dopo il re Ferdinando e recò il Canosa. Quel re, quel ministro ed i monarchi di Europa all’uno ed all’altro consenzienti, erano presagio di vendetta contro a’ generosi. Primo d’ogni altro il Colletta, accerchiato una notte da stuolo tedesco, andò prigioniero in castel Sant’Elmo. Ivi per tre mesi ebbe a sostenere indegne minacce dall’esultante Canosa, e peggio forse gli sovrastava: ma quando alla consideratezza austriaca parve tempo di frenare quegli ubbriachi furori, levato di carcere senza forma di giudizio, andò con quattro de’ più illustri del parlamento e dell’esercito su nave armata di Tedeschi, insino a Trieste; di là con le apparenze di una quasi libertà o di benigna custodia, al confino assegnatogli Brünn di Moravia, a’ piedi di quello Spielberg dove con altra custodia tanti Italiani eran chiusi. La vista di quello Spielberg dovea bastare a rendergli incomportabile la stanza di Brünn. L’asprezza del clima, il desiderio incessante dell’infelice sua patria, le calunnie del governo, aggravavano su lui e danni e dolori. E allora la sanità gli cominciò a declinare, allora se gli manifestò quel morbo che lentamente doveva condurlo al sepolcro, ma che presto divenendo minaccioso, fece che, mutato il confino in esilio, dopo due anni gli fosse conceesso posarsi in Firenze, dov’egli giunse nel marzo del 1823.

Tale si fu il Colletta ne’ servigi dello stato, e tal premio n’ebbe. Escluso oramai per sempre da’ fatti civili, si volse a soccorrere più efficacemente all’Italia con l’opera delle lettere. Nel mesto confino di Moravia concepì, benchè imperfetta, l’idea della storia; a Firenze la imprese: gli otto anni che gli rimasero di vita bastarono appunto a compierla. Si pose all’opera sprovveduto di quelle agevolezze che l’uso e gli studii danno allo scrivere; nulla fuori che una coscienza interrotta gli avea rivelato sin allora le forze del suo ingegno altrove distratto.

Nell’anno 1815 aveva composto un racconto militare