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LIBRO TERZO — 1797. 171


XXIV. La pace, come già l’armistizio, essendo scaltrezze del governo di Napoli per aspettare miglior tempo alla guerra, vedevasi crescere di battaglioni l’esercito, di munimenti la frontiera, di tributi l’erario. Nè cessando le provvidenze chiamate di sicurezza pubblica, ci gravavano due guerre, la esteriore, la interna; e i danni e i pericoli di entrambe. Una speranza rallegrò gli animi al sentire che dopo la caduta di Mantova e le altre sventure degli eserciti d’Austria, fermato armistizio, si apriva in Leoben conferenza di pace; e che negoziatore per lo Impero fosso il marchese del Gallo ambasciatore a Vienna della corte di Napoli. Egli, sul confine della giovinezza, di sottile ingegno, e tale in viso che appariva ingenuo più del vero, piacque allo imperatore che lo mandò, avuta permissione dal re di Napoli, a trattare in Leoben con Bonaparte. Tenemmo ad onore che un Napoletano maneggiasse l’occorrenza più grande di Europa. e confidavamo che i nostri interessi non sarieno traditi o negletti. Sospesa la guerra, riaperte le strade d’Italia con Alemagna, posate le ansietà de’ sovrani di Vienna e di Napoli, fu loro cura il viaggio dell’arciduchessa Clementina per venire sposa del principe Francesco; nozze, come ho detto altrove, fermate sette anni avanti, e non celebrate per la età infantile d’ambo gli sposi. L’arciduchessa andava a Trieste, dove navilio napoletano l’attendeva; lo sposo la incontrava a Manfredonia; le religioni del matrimonio si fecero a Foggia. Accompagnarono il principe i regali genitori, con seguito infinito di baroni e di grandi; e celebrate in giugno le nozze, tornarono in Napoli nel seguente luglio, tra feste convenevoli ad erede della corona. Il re dispensando largamente premii e doni, nominò il general Acton capitan-generale, nulla più restando, per entrambo, a donare, a ricevere; inaridito il favore e l’ambizione. Quindi coprì quarantaquattro sedi vescovili, rimaste lungo tempo vacanti per goder delle entrate; diede gradi, titoli e fregi di onore per azioni di guerra o di pace. Solamente la sposa, vaga giovinetta che di poco soperchiava i quindici anni, mostrava in volto certa mestizia, più notata nella universale allegrezza e più compianta. Il re diede a parecchi Foggiani titolo di marchese, in ricompensa del maraviglioso lusso nelle feste delle regali nozze; e subito mutarono i costumi di quelle genti che, agricoli o pastori, si volsero alle soperchianze del gran commercio ed agli ozii de’ nobili; ozii crassi perchè nuovi e insperati. Così le dignità mal concesse accelerarono il decadimento della città, compiendo in breve ciò che lentamente i vizii della ricchezza producevano.

XXV. In quell’anno fu menato schiavo da pirata tunisino il principe di Paternò, come racconterò brevemente perchè il fatto racchiude parti pubbliche, e perchè di quel principe dovrò dir lungamente in altro libro. Egli nobile, ricchissimo, e di ricchezze mil-