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198 LIBRO TERZO — 1798.

lia; lasciar vicario il capitan generale principe Francesco Pignatelli; divisare di tornar presto con potentissimi ajuti d’armi.

Partitosi il re, si palesavano i segreti della fuga, le brighe de’ perversi cortigiani onde vincere nella reggia gli ultimi indugi a partire, le instigazioni valentissime di Hamilton, Nelson, lady Hamilton: s’intesero tolti i giojelli e le ricchezze della corona; le anticaglie più pregiate, i lavori d’arte più eccellenti de’ musei, e i resti de’ banchi pubblici e della zecca, in moneta o in metallo; in somma il bottino (ventimilioni di ducati) de’ tesori dello stato; lasciando la infelice nazione in guerra straniera e domestica, senza ordini, con leggi sprezzate, povera, incerta. Comunque sieno i legami tra re e popolo, patteggiati dagli uomini, o voluti dalla ragione, o anche prescritti da’ cieli, in tutte le ipotesi più libere o più assolute, abbandonare lo stato co’ modi e le arti del tradimento, è peccato infinito, nemmeno cancellabile dalla fortuna e dal tempo. Trattenute dai venti restarono le navi tre giorni nel golfo; ed in quel tempo la città, i magistrati, la baronia, il popolo, inviarono legati al re, promettendo, se tornasse, sforzi estremi contro il nemico, e, per tante braccia e voleri, certa vittoria. Il solo arcivescovo di Napoli tra i legati parlò al re, gli altri a’ ministri; il re disse irrevocabile il proponimento, ed i ministri ripeterono la medesima sentenza con più duro discorso. Per le quali cose, mutato il sentimento universale, i magistrati per salvezza o disdegno si ritiravano dagli offizii pubblici, gli amanti di quiete aspettavano timidamente l’avvenire, i novatori si alzavano a speranze; la sola plebe, operosa, prorompeva nel peggio. Scomparvero intanto le regie navi e le altre che trasportavano uomini tristi, timidi, ambiziosi, le peggiori coscienze del reame; e giorni appresso giunse nuova che tempesta violentissima travagliava i fuggitivi, de’ quali altri ripararono nelle Calabrie, altri nella Sardegna e nella Corsica, molti correvano le fortune del mare; ed il vascello del re, che l’ammiraglio Nelson guidava, spezzato un albero, frante le antenne, teneva il mare a stento. La regia famiglia pareva certa di final rovina; così che detto alla regina essere morto il regio infante don Alberto, ella rispose: «Tutti raggiungeremo tra poco il mio figlio.» Il re, profferendo ad alta voce sacre preghiere, e promettendo a san Gennaro e a san Francesco doni larghissimi, faceva piglio sdegnoso al ministro ed alla moglie, con quel suo modo rimproverandoli delle passate opere di governo, cagioni a quella fuga e a quel lutto. Si ammirava fra le tempeste andar sicuro il vascello napoletano che l’ammiraglio Caracciolo guidava; e sebbene ei potesse avanzar cammino, e’ tenevasi poco lontano dal vascello del re, per dare a’ principi animo e soccorso; avresti detto che le altre navi obbedivano a’ venti, e che la nave del Caracciolo (così andava libera e altiera) li comandasse.