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LIBRO TERZO — 1798. 199

La quale maraviglia osservata dal re e laudata, diede a Nelson cruccio d’invidia. Pure tempestosamente correndo, il vascello inglese giunse il dì 25 a vista di Palermo, dove il mare è meno sicuro, e l’entrata difficile; così che dalla città veduto il pericolo e scoperto che il re stava imbarcato su quella nave sdrucita, il capitano di fregata Giovanni Bausan, sopra piccola barca affronta i flutti, giunge al vascello, e si offre di que’ mari pilota esperto. L’ammiraglio Nelson gli diede volontario il comando del legno; e, fosse perizia o fortuna, in poco d’ora entrò nel porto, e fermò alla Banchetta come in tempo di calma. Caracciolo arrivò al punto stesso; e sbarcate le genti ch’egli menava, riposò su le ancore l’illeso vascello. Ebbero bella gloria di que’ fatti gli uffiziali del navilio napoletano.

XLI. Il vicario del regno, Pignatelli, notificando al general Mack per lo esercito, ed agli eletti della città per gli ordini civili, le potestà conferitegli, animò le difese nell’uno, il consiglio negli altri. Un re o per fino un vicario che fosse stato pari alle condizioni del tempo avrebbe scacciato i Francesi o fermata la pace o prolungato la guerra sino a che per le mosse dell’Austria o dei Russi dovesse l’esercito nemico da questa ultima Italia correre in soccorso della Lombardia. Damas era giunto con settemila soldati, altri seimila ne conduceva Naselli, quindici migliaja o più stavano intorno a Capua, vacillanti alla disciplina o contumaci; ma, come spesso avviene delle moltitudini, facili a tornare, per un cenno o per un motto, all’obbedienza; gli Abruzzi, la provincia di Molise, la Terra di Lavoro formicavano di Borboniani; le altre province si agitavano; la popolosa città di Napoli tumultuava per le parti del re. Ordinare tante forze, muoverle assieme, unirvi la virtù dell’antico, del legittimo, e la idea riverita delle patrie instituzioni, bastava a formare una potenza tre volte doppia di ventiquattromila Francesi, e poche centinaja di novatori non esperti alle rivoluzioni o alla guerra. Ma il generale Pignatelli, nato in ignorantissima nobiltà ed allevato alle bassezze della reggia, non poteva, nè per mente nè per animo, giungere alla sublimità di salvare, per vie generose, un regno ed una corona. È questo il peggior fato del dispotismo; educando i suoi all’obbedienza, non trovarne capaci di comando.

Gli eletti della città, dopo brieve accordo col vicario, sospettando in lui malvage intenzioni provenienti dagli ordini secreti de principi o dal proprio ingegno, e chiamati da’ sedili altri eletti, cavalieri o del popolo, levarono milizia urbana molta e fedele. E poi trattando gli affari pubblici, fu prima sentenza fiaccare il potere del vicario: sì che rammentate le concessioni di Federico II, del re Ladislao e di Filippo III, poscia gli editti o patti di regno di Filippo V, e di Carlo III, pretesero non dover essere governati dai vicerè; e che alla partita del re si trasferisse il regio potere agli eletti