Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 I.pdf/213

Da Wikisource.

LIBRO TERZO — 1799. 203


XLIII. Incontro agli accampamenti francesi non restando milizie napoletane, e solo apparendo qualche uomo armato del popolo, aspettavasi che il nemico (rotta la tregua perchè non pagato il prezzo) procedesse contro la città; e quelle voci moltiplicate ed accresciute si ripetevano ad incitamento nella plebe. Il senato municipale, sgombro del vicario, consultando col principe di Moliterno, divisero le cure dello stato. Questi per editto comandò preparar guerra contro i Francesi, e cominciarla quando necessaria; mantenere gli ordini interni, e soprattutto la quiete pubblica; rendere l’armi a’ depositi per distribuirle con miglior senno a’ difensori della patria e della fede. E conchiudeva: i disobbedienti a queste leggi, nemici e ribelli all’autorità del popolo, saranno puniti per solleciti giudizii ed immediato adempimento; al qual effetto si alzeranno nelle piazze della città le forche del supplizio. E si firmava, «Moliterno, generale del popolo.» Il senato per decreti provvide alla finanza, allo giustizia, a tutte le parti di governo; minacciando a’ trasgressori pena lo sdegno pubblico. ratto e terribile. Per distorre intanto i popolani alle domestiche rapine, bandì libera la pescagione e la caccia nelle acque e ne’ boschi regii. E scelse ambasciatori per esporre al generale Championnet le mutate forme di reggimento, e la comune utilità nel comporre pace che fosse gloriosa e giovevole alla Francia, ma non misera nè abbietta per il popolo napoletano, pur meritevole di alcuna stima, ora che riscatta con le armi e col danno proprio i falli del governo e dell’esercito.

Per tante provvidenze di quiete, la foga popolare allentò, molte armi tornarono al Castelnuovo, grande numero de’ perturbatori andò ne’ regii laghi o boschi; il tumulto e ‘l romore scemarono. Ma gli antichi settarii di libertà, e i nuovi surti allora dalle vicine speranze, praticavano secretamente co’ Francesi; ed offerendo potenti ajuti nella guerra, della quale i successi darebbero larga mercede di ricchezza e di onore alla repubblica, pregavano si negassero alle proferte lusinghiere di pace: ingrandivano di se medesimi la potenza ed il numero; spregiavano i contrarii; accertavano che le province cheterebbero ad un punto quando sentissero presa la capitale, e ‘l popolo vendicato in vera libertà. Così stando le cose, giunsero nel pieno della notte i legati della città (ventiquattro popolani caldissimi) tra quali era il Canosa, nato principe, aristocratico per dottrina, plebeo per genio: tutti guidati dal generale del popolo Moliterno; confidenti nelle proprie forze, inesperti de’ travagli della guerra e della incostanza delle moltitudini. Parlavano al generale Championnet confusamente, a modo volgare; chi dicendo l’esercito napoletano vinto perchè tradito, ma non tradito nè vinto il popolo; chi pregando pace, e chi disfidando guerra a nome di gente infinita contro piccolo numero di Francesi. E poi che si furono sa-