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204 LIBRO TERZO — 1799.

ziati di scomposte preghiere o minacce, il Moliterno con discorso considerato, così disse:

«Generale, dopo la fuga del re e del suo vicario, il reggimento del regno è nelle mani del senato della città; così che trattando a suo nome, faremo atto legittimo e durevole; questo (diede un foglio) racchiude i poteri de’ presenti legati. Voi, generale. che debellando numeroso esercito, venite vincitore da’ campi di Fermo a queste rive de’ Lagni, crederete breve lo spazio, dieci miglia, quello che vi separa dalla città; ma lo direte lunghissimo e forse interminabile, se penserete che vi stanno intorno popoli armati e feroci; che sessantamila cittadini, con armi, castelli e navi, animati da zelo di religione e da passione d’indipendenza difendono città sollevata di cinquecentomila abitatori; che le genti delle province sono contro di voi in maggior numero e moto; che quando il vincere fosse possibile, sarebbe impossibile il mantenere. Che dunque ogni cosa vi consiglia pace con noi. Noi vi offriamo il danaro pattovito nell’armistizio e quanto altro (purchè moderata la inchiesta) dimanderete; e poi vettovaglie, carri, cavalli, tutti i mezzi necessarii al ritorno, e strade sgombere di nemici. Aveste nella guerra battaglie avventurose, armi, bandiere, prigioni; espugnaste, se non con l’armi, col grido, quattro fortezze; ora vi offriamo danaro e pace da vincitore. Voi quindi fornirete tutte le parti della gloria e della fortuna. Pensate, generale, che siamo assai ed anche troppi per il vostro esercito; e che se voi per pace concessa vorrete non entrare in città, il mondo vi dirà magnanimo; se per popolana resistenza non entrerete, vi terrà inglorioso.»

Rispose il generale: «Voi parlate all’esercito francese, come vincitore parlerebbe a’ vinti. La tregua è rotta perchè voi mancaste a patti. Noi dimani procederemo contro la città.» E, ciò detto, li accomiatò. Stavano al campo, seguaci e guida dell’esercito, parecchi Napoletani, che parlando a’ legati con detti lusinghieri di libertà, avute risposte audaci, e gli uni e gli altri infiammati da sdegno di parte, si minacciarono di esterminio. I legati riportarono al senato quelle acerbe conferenze, che di bocca in bocca si sparsero nella città infestissime alla quiete. Alcuni preti e frati, settarii del cadente governo, vista la casa dei Borboni fuggita, il vicario cacciato e ’l senato della città dettar leggi senza il nome del re, andavano tra la plebe suscitando gli antichi affetti; rammentavano il detto della regina: «Solamente il popolo esser fedele, tutti i gentiluomini del regno giacobini»; spargevano quindi sospetti sopra Moliterno, Roccaromana, gli eletti, i nobili; consigliavano tumulti, spoglio di case, ed eccidii. Così rideste le sopite furie, i popolani, la vegnente notte, atterrate le forche, sconoscendo l’autorità di Roc-