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LIBRO TERZO — 1799. 205

caromana e di Moliterno, crearono capi due del popolo; nominati uno il Paggio, piccolo mercatante di farina, l’altro il Pazzo, cognome datogli per giovanili sfrenatezze, servo di vinajo; entrambo audaci e dissoluti.

La prima luce del 15 di gennaio del 1799 palesò i nuovi pericoli, che subito si avverarono; imperciocchè torme numerose di lazzari andarono contro i Francesi; altre sguernivano delle artiglierie i castelli e gli arsenali; ed altre più feroci correvano la città rubando ed uccidendo. E fatta sicura la ribalderia, que’ frati e preti medesimi con abiti sacri, nelle piazze, nelle chiese accendevano con la parola chiamata di Dio il furore civile. Sì che un servo della nobile casa Filomarino, accusando in mercato i suoi padroni, mena i lazzari nel palagio, ed incatenano nelle proprie stanze il duca della Torre, e ’l fratello Clemente Filomarino; questi noto per poetico ingegno, quegli per matematiche dottrine; la casa ricca di arredi è spogliata, indi bruciata, distruggendo molta copia di libri, stampe rare, macchine preziose, e un gabinetto di storia naturale, frutto di lunghi anni e fatiche. Mentre l’edifizio bruciava, i due miseri prigioni trascinati alla strada nuova della marina, sono posti sopra roghi e arsi vivi con gioja di popolo spietato e feroce. Altre stragi seguirono; si sciolse atterrito il senato della città; gli onesti sì ripararono nelle case; non si udiva voce se non plebea, nè comando se non di plebe. Il cardinale arcivescovo sperando alcun soccorso da quella fede in cui nome i lazzari combattevano, ordinò sacra processione; e nel mezzo della notte, con la statua e le ampolle di san Gennaro percorreva le strade più popolose, cantando inni sacri, e da luogo in luogo predicando sensi di giustizia e di mansuetudine. E mentre la cerimonia procedeva, fu visto nella folla aprirsi strada e giungere al santuario uomo grande di persona, coperto di lurida veste, con capelli sciolti, piedi scalzi, e tutti i segni della penitenza. Egli era il principe Moliterno, che, invocato permesso dell’arcivescovo di parlare al popolo, e manifestato il nome, il grado e il giusto motivo (la universale calamità) di quel sordido vestimento, esortò le genti che andassero al riposo per sostenere nel seguente giorno le fatiche della guerra; certamente ultime, se tutti giuravano per quelle sacre ampolle di sterminare i Francesi, o morire; poi disse a voce altissima: «Io lo giuro»; e mille voci ripeterono, «Lo giuriamo.» Il discorso, le vesti, la cerimonia, la comune stanchezza poterono su quelle genti, che tornando alle proprie case fecero per poco tempo tranquilla la città.

XLIV. Ma non dormivano i repubblicani, sopra dei quali pendeva imminente pericolo di strage. Avevano promesso al generale Championnet prendere il castello Santelmo, e lo tentarono la notte innanzi con infelice successo, perciccchè alcuni de’ congiurati man-