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LIBRO QUINTO — 1804. 317

venti secondi, furiose, crescenti, produttrici delle rovine e dei guasti che ho accennato. Anche la contea di Molise ebbe le sue maraviglie di fortuna; e come in Calabria visse sotto alle rovine per undici giorni Eloisa Basili, così nella terra di Guardia Regia aspettò sotterra dieci giorni ed otto ore Marianna de’ Franceschi, gentil donna, giovine bella che appena compieva i venti anni; se non che la Basili visse mesta, e poco di poi morì, e l’altra ripigliando sanità e letizia ebbe ventura di lunga vita, di marito e di figli.

Quel tremuoto fu sentito nelle parti più lontane del regno, e, traversando il mare, nelle isole di Procida ed Ischia. Napoli fu scossa fortemente, così che alcune case rovinarono, molte furono fesse, nessuna illesa, o poche. Il governo per iscarsa finanza e mal animo nulla fece in ristoro di quelle genti. I tremuoti durarono ma innocui sino al finire di marzo; ed andavano a que’ moti compagne le eruzioni del Vesuvio. Fu chiaro che derivarono da elettriehe accensioni, potenti dove il suolo, come in Molise, conserva i segni e le materie di vulcani estinti. Il giorno 26 di luglio è votivo a sant’Anna, e però nel popolo fu creduto miracolo di lei che la città di Napoli non cadesse tutta intera in rovine.

Era in quel tempo tornato in Roma da Parigi Pio VII, e venuto poco appresso in Italia Bonaparte a porsi in capo la corona dei Longobardi, mutata in regno d’Italia la repubblica Cisalpina. Seguirono in Milano le solenni cerimonie, dove tutti i re amici della Francia, e i principi italiani, comunque addolorati del nuovo regno e dal nome insospettiti di perdere i proprii stati, mandarono ambasciatori di apparente allegrezza. Il ministro nopoletano a Parigi, marchese del Gallo, stava in Milano a corteggio dell’imperatore; ma da Napoli fu spedito straordinario il principe di Cardito, che nel circolo di corte espose a Bonaparte l’ambasciata e gli augurii. Volle fortuna che pochi giorni avanti per lettere intercette fosse a Bonaparte giunto notizia di non so quali intrighi tessuti dall’Inghilterra con la regina delle Sicilie a danno della Francia, sì che egli scordando la grandezza della cerimonia, offendendo la dignità degli ascoltanti e di sè medesimo imperatore e re, così all’ambasciatore di Napoli rispose: «Dite alla vostra regina che io so le sue brighe contro la Francia, ch’ella andrà maledetta da’ suoi figli, perchè in pena dei suoi mancamenti non lascerò a lei nè alla sua casa tanta poca terra quanta gli cuopra nel sepolcro.» Al fiero dire ed al bieco aspetto intimorirono gli astanti, Cardito ammutolì; ma l’imperatore, tornato alle maniere cortesi, che aveva facili e seduttrici, ricondusse la calma nell’assemblea.

Erano veri i maneggi di guerra. La Inghilterra minacciata dai campi di Boulogne, costernata dal pericolo d’invasione, ma confidente (come vuole gran popolo) nelle sue forze, si stava, incontro a capitano e ad esercito maraviglioso, preparata, non certa della