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118 LIBRO SETTIMO — 1814.

vicina guerra d’Italia. E quando mai l’armistizo cessar dovesse, notificazione dall’una all’altra parte tre mesi avanti alle offese. Erano state insino allora occulte le pratiche; poi quegli accordi, pubblicati, apportarono al popolo vera gioja per il cessato timore di guerra, per i guadagni del commercio, per la creduta sicurezza del futuro, per le speranze di reggimento più libero suscitate da’ discorsi di Gioacchino, e soprattutto per quell’impeto di sdegno che scoppiò in tutta Europa contro la Francia: giusto nei Russi, Austriaci e Prussiani, scusabile negli altri popoli di Alemagna; ingrato e stolto in Italia.

LVII. Intanto Gioacchino sin dal precedente novembre aveva mosso due legioni, preso i quartieri in Roma ed Ancona, apprestate altre schiere ed anunziato vicino il suo arrivo a Bologna: egli spinto a quei moti dal suo genio di operare e d’invadere, e dall’avvedimento di mostrarsi armato agli amici e a’ contrarii. Bonaparte, benchè sospettoso di lui, non volendo dar motivo o pretesto al temuto abbandono, nè precipitare la guerra, aveva prescritto a’ suoi luogotenenti che quelle legioni fossero tenute come alleate, e nei congressi di pace i suoi ambasciatori ponevano nella bilancia delle forze cinquantamila Napoletani a pro della Francia. Ma il generale Miollis, governatore di Roma, e ‘l general Barbou di Ancona, insospetti de’ Napoletani, si tenevano vigli e in armi. Ed al tempo stesso molti Italiani, o per carico ricevutone da Gioacchino, o per proprio zelo, andavano divolgando che il re di Napoli, scaltro, libero, fortemente armato, quando i nemici esterni ira loro combattessero avrebbe promulgata e sostenuta la libertà d’Italia. Di già que’ discorsi eccitavano ne’ meno accorti speranze e moti, allorchè i trattati con l’ Austria e l’Inghilterra vennero ad accertare i sospetti de’ Francesi, ed a spegnere le ultime ansietà d’italiana indipendenza.

Gioacchino scriveva a Miollis a Barbou, a Fouchè sensi amichevoli: diceva che necessità di regno lo aveva spinto a quell’alleanza, ma che divoto ed amante della Francia renderebbe concordi gli interessi di stato e gli affetti proprii. Proteste non credute. Il general Mioltis con forte presidio acquartierò in castel Sant’Angelo: il general Lasalcette in Civita Vecchia con ciò che restava di soldati francesi; il general Barbou voleva guardare in Ancona due castelli, ma i Napoletani destreggiando sorpresero quel dei cappuccini, sì che i Francesi milacinquecento fra soldati e impiegati civili, si chiusero nella cittadella. Tutta la Romagna con le abbandonata ai Napoletani, che dubbiosi per mancanza o contraddizione di ordini, come dubbioso era il re per contrasto di affetti, non guerreggiavano, non amministravano quel paese; avevano le sollecitudini della guerra, il fastidio delle guernigioni, tutte le