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LIBRO SETTIMO — 1814. 119

molestie, tutti i pericoli della incertezza. I generali scrivevano al re di quelle perplessità, ed avevano risposte nulle o varie; tal che surto sospetto che ci macchinasse inganni, temevano o per sè medesimi o per le sorti di Napoli.

In quel mese di gennaro Gioacchino andò a Roma, e non ottenne, come sperava, da Miollis castel Sant’Angelo e Civita Vecchia; passò ad Ancona, nè Barbou volle cedere la cittadella. Vide in iscompiglio le amministrazioni interne, udì le protestazioni dei generali, le rimostranze dei magistrati, i lamenti del popolo: i ministri austriaci biasimavano la sua lentezza, chiamandola mancamento al trattato. Il più fingere apportava danno e pericolo; ond’egli comandò, partendosi per Bologna, avanzarsi le schiere napoletane per congiungerle alla legione tedesca retta dal general Nugent; stringere in assedio Ancona, castel Sant’Angelo e Civita Vecchia; ordinare le parti civili dei paesi occupati, impiegando il consiglio e l’opere dei migliori ingegni napoletani. Ma poichè sempre gli premeva il cuore il desiderio di non rompere a guerra con la Francia, lasciò in avanguardia contro l’esercito del vicerè la legion tedesca, e prescrisse che nelle comandate operazioni di assedio non fossero primi i Napoletani ad accendere le artiglierie.

Ordinò l’esercito. Lui stesso capo di tre legioni di fanti, una di cavalieri, ventiduemila soldati, sessanta cannoni, attrezzi corrispondenti, nessuna provvisione, nessun tesoro, confidando nelle ricchezze d’Italia. Erano agli stipendii napoletani alcuni soldati francesi, molti uffiziali colonnelli e generali. Gioacchino volendo ritenerli perchè ne pregiava il valore e l’esperienza, e credeva di attenuare il suo mancamento alla Francia spandendo l’esempio sopra gran numero di Francesi, gli lusingava in vario modo; fingeva con essi che era infingimento l’alleanza con l’Austria, sovrapponeva menzogne a menzogne, s’intrigava, screditavasi. I generali napoletani dall’opposta parte bramavano che quei Francesi partissero, perchè in essi vedevano i sostenitori degli ondeggiamenti del re e gl’inciampi alla pienezza della propria potenza ed ambizione; pregavano Gioacchino a sgomberarne l’esercito; mormoravano in disparte; generavano contumacia e scandalo. E quei Francesi, mossi da interessi contrarii, vacillarono lungo tempo; ed infine i più amanti di onore e di patria si partirono, altri rimasero vergognosi ed afflitti. Dei primi citerò un solo per la singolarità dei suoi casi: il colonnello Chevalier, caro a Murat, andò l’ultimo da disertore, lasciando un foglio nella notte e fuggendo. Ma il giugner tardi fu cagione di motteggi tra gli uffziali dell’opposto campo, ed egli, per mondarsi dello indugio, chiese di combattere all’alba dello stesso giorno, e primo tra i primi attaccò i Tedeschi e cadde ucciso.

LIX. Cominciarono gli assedii da quel di Ancona. Essendo