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128 LIBRO SETTIMO — 1814.

cannoni, e la sponda sinistra del fiume da fanti, cavalieri e artiglierie. Cominciato il combattimento, il fiume valicato più in su del ponte dai Napoletani guidati dal generale Guglielmo Pepe, le barricate scomposte, allontanati i difensori e le artiglierie, il ponte preso e preso il campo: i nemici, ordinati ma solleciti, ripararono in Reggio. Le due parti combatterono con forze, animo ed arte uguale; il generale Severoli italiano, capo degli Itali-Francesi, cadde come estinto, troncatagli una gamba da palla di cannone, altri cinquecento dei suoi furono morti o feriti, seicento prigioni, e degli Austro-Napoletani quattrocento tra feriti e morti. Il re giunse al campo quando già la vittoria era per noi; e però se ne debbe l’onore ai generali Carascosa e Nugent. Chiuso in Reggio il nemico, valicato il canale del naviglio dai Napoletani, già nostra la strada di Parma e debolissime le mura di Reggio, si poteva con poca altra guerra espugnare la città e tener prigioni quei presidii, ma il re concesse libera ritirata, concordandone i patti i generali Livron e Rambourg, l’uno per la nostra parte e l’altro per la contraria, ambo Francesi. E così quel merito di alleanza del mattino fu perduto al cader del giorno, e rimasero interi o accresciuti i sospetti e le querele.

LXV. Ed intanto cadute in peggio le cose di Francia, i commissarii presso del re divennero più baldanzosi, Balachef più schivo alla pace, ogni cosa più contraria alle affezioni ed agl’interessi di Gioacchino. Ed egli abbandonando come che tardi le dubbiezze, volle congresso con Bellegarde, e concertarono le operazioni di guerra, contemporanee de’ Napoletani sul Taro, de’ Tedeschi sul Mincio, obbietto de’ primi Piacenza, de’ secondi Milano. Sì che a’ 13 di aprile effettuati i convenuti movimenti, il re con novemila soldati passò il Taro, difeso da sei in settemila Italo-Franchi; altra legione napoletana osservava il passaggio di Borgoforte, ed altre squadre dello stesso esercito ed austriache stavano in riserva; mentre che in Sacca si faceva finta di gettare un ponte sul Po per minacciare l’ala diritta del nemico, e così giovare a Bellegrade che operava contro il centro e la sinistra. Fu combattuto sul Mincio senza effetto, non si scontrarono a Borgoforte; il ponte a Sacca venne contrastato e impedito da forze sei volte maggiori; restò la riserva inoperosa. Il Taro, combattendo, fu valicato; quattrocento de’ nostri morti o feriti; altrettanti de’ contrarii e cinquecento prigioni. Il generale Gobert austriaco, guidando schiere tedesche, lentamente operò sul fianco destro del nemico sì che questi potè ritirarsi, ed il re in argomento di zelo ne fece pubblica lamentanza. Il generale Mancune, reggitore della contraria parte, ordinatamente si raccolse al cadere del giorno in Sandonnino, e nella notte a Firenzuola. I Napoletani pernottarono sul campo, ed alla prima luce del vegnente giorno traversarono Sandonnino, vuoto di guardie, procederono a Firen-