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LIBRO SETTIMO — 1815. 145

il generale Nugent a Pistoia con tremila soldati, de’ quali mille e più Toscani, che non di proprio grado ma per obbedienza seguivano i Tedeschi. Frattanto a Livorno erano apparecchiate per ultimo scampo le navi, non sperando il general Nugent di resistere a schiere due volte più forti.

I Napoletani, perduto in Firenze un altro giorno, e mossi il dì 9 verso Pistoja, affrontarono a Campi piccola mano di Tedeschi e la fugarono; numero maggiore ne stava a Prato, che dopo breve resistenza ordinatamente si ritirò: i Napoletani diedero due giorni al piccolo cammino di dieci miglia toscane. La maltina del dì 11 le legioni avanzavano sopra Pistoja. Pistoja è delle antiche città d’Italia cinte di mura, ma. per molti originarii difetti e per lo abbandono che deriva da lunga pace, inabile a resistere; i Tedeschi vi stavano a ricovero non a difesa, presti ad abbandonar la città quando le vedette avvisassero l’appressamento de’ Napoletani. Ma questi, dopo sei miglia di cammino, inopinatamente si arrestarono per aspettare le mosse del nemico e i rapporti delle genti mandate a scoperta. E mentre i Tedeschi non muovono, avendo a felicità quel loro insperato riposo, voci vaghe e bugiarde dicevano che si affaticassero a novelle fortificazioni; e che, lasciato in città bastevole presidio e buona riserva in Pescia, marciassero con due squadre numerose e gagliarde alle spalle de’ nostri, per Poggio a Cajano e Fucecchio. Onde i due generali, creduli a quelle nuove, levato il campo da Prato, si raccolsero a Firenze. Narrerò a suo luogo i loro fatti nel resto della guerra.

LXXXIII. Tali cose in Bologna seppe Gioacchino, e vide che al maggior uopo gli mancava la guardia, riserva dell’esercito. Pochi giorni avanti, quando stava sul Po assaltando Occhiobello, avea ricevuto un foglio di lord Bentinck, scritto da Torino il 5 aprile, nel quale l’altiero Inglese diceva: «Che per i patti della confederazione europea e per la guerra mossa dal re all’Austria, senza motivo, senza cartello, egli, tenendo rotto l’armistizio tra Napoli e la Inghilterra, con tutte le sue forze di terra e di mare ajuterebbe l’Austria.» Minacce terribili a Gioacchino, pensando allo stato interno del regno ed agli apparecchi ostili del re di Sicilia. Le speranze ne’ rivolgimenti d’Iitalia erano anch’esse svanite, perocchè gli editti e i discorsi del re non altro avean prodotto che voti, applausi, rime pubblicate, orazioni al popolo, ma non armi e non opere; ossia motti per lo avvenire, cimenti di polizia, nessuno di guerra. I dodici e i quattro reggimenti promessi, erano per vanto, non veri; sì aprì registro di volontarii e restò quasi vuoto; i tenuti in prigione da’ Tedeschi per colpe o sospetti di stato, fatti liberi da noi, tornavano quieti alle case, ammaestrati non irritati dal carcere; la fidanza che le milizie italiane si unissero alle nostre era affatto

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