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216 LIBRO OTTAVO — 1819.

spanderla nel regno come incivilimento del popolo e sostenitrice de’ governi nuovi. Era ministro un Maghella genovese, surto dagli sconvolgimenti d’Italia e di Francia, al quale furono argomenti e raccomandazioni la simiglianza delle sette massonica e carbonaria, la facilità provata di assoggettare i massoni, il bisogno di farsi amica la plebe, ed infine la potenza degli stati nuovi, continua istigatrice ad imprese arrischiate, Il male accorto non pensava che le fazioni giovevoli a’ governi oprano alla svelata, sì come le contrarie hanno d’uopo di mistero e secreto; e che le opinioni di una setta, quando accordino agl’interessi di un popolo, prestamente si spargono, tenacemente allignano; cosicchè la carboneria, professando in principio i desiderii de’ Napoletani e le dottrine del secolo, apportava di sua natura temerità alle moltitudini, pericoli allo stato.

Tutto ciò non vedendo l’inabile ministro, propose l’entrata di quella setta a Gioacchino, che per istinto di re più che per senno di reggitore vi si opponeva, ma finalmente aderì, e quasi pregata la carboneria entrò nel regno. Chiamata dalla polizia, doveva suscitar sospetti, ma si accreditò; perciocchè guasti erano i costumi, ed in governo nuovo ed ombroso, fra tanti moti di fortuna la polizia dando impieghi e guadagni, apparve la setta un mezzo di lucro. Presto e molto crebbe di numero e di potere; tra i pubblici uffiziali che si scrissero settarii, e i settarii che divennero uffiziali pubblici, non vi era pubblico uffizio che molti non ne contenesse.

Spiacque il troppo e ne insospettiva il governo, quando giunse lettera del dotto Dandolo, consigliere di stato del regno italico, il quale diceva al re Gioacchino: «Sire, la carboneria si spande in Italia; voi liberatene, se potete, il vostro regno, però che quella setta è nemica de’ troni.» Ed indi a poco il re ne fece pruova, perchè nell’anno 14, come ho riferito nel settimo libro, stando coll’esercito in riva del Po, tumultuarono i carbonari di Abruzzo, e bisognò a sedarli forza, prudenza ed astuzia. Scoppiò la collera, come in Gioacchino soleva, sconsigliata e superba; proscrisse la setta, perseguitò i settarii, gli chiamò nemici del governo. E da quel giorno i nemici veri ascrivendosi alla carboneria, i buoni ed i circospetti la fuggivano, vi entravano i tristi e i temerarii.

Dichiarata la setta, per editti e supplizii, nemica di Gioacchino, mandò emissarii in Sicilia, bene accolti dal re, e meglio da lord Bentinek che in quel tempo disegnava opere più vaste. E perciò nemica di un re, di altro re fatta amica, vezzeggiata da grandi, credendosi la speranza di alte italiane venture, non pur setta estimavasi ma potenza. E crebbe di arroganza nel cominciare dell’anno 15, perchè di amicizia la richiese (quasi pentito) Gioacchino, travagliato dalle avversità di fortuna e di guerra. Ed ella già vòta di uomini di senno e di virtù, perdendosi nella gioja di sognate gran-