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LIBRO NONO — 1820. 247

bene ordinate fila, prometteva piena e vicina tranquillità. Essendo fra’ pregi suoi parlar facile e scorto, mascherò l’ambizione di reggere la parte più potente dello stato, così che gli astanti sì arresero al suo voto, e quello oscuro artifizio di polizia si slargò in sistema di governo. Uomini astuti e loquaci, abusando la ignoranza delle moltitudini, professando sfrenata libertà, fingendo sospetti contro il re, il vicario, i capi del governo, divennero primi della carboneria, motori e regolatori delle sue opere. La qual arte, alle prime apportatrice benefica di quiete, col mutar dei tempi e il dechinar delle cose costituzionali tradì lo stato e fu principal cagione di pubblico disastro.

XVI. La rivoluzione in Sicilia erasi distesa dalla città di Palermo al Vallo dello stesso nome, ed indi al contiguo di Girgenti. Là Vallo vuol dir provincia; e vien da valle, che essendo tre principali, dividono l’isola in tre gran parti, e però in antico erano tre le province, oggi divise in sette, che pur chiamansi Valli. I due valli ribelli con inviti e minacce concitavano gli altri cinque, che rispondevano da nemici coll’armi; avvegnachè ridestato l’antico livore fra le siciliane città, facendosi altiera Siracusa per le sue memorie, Messina per le sue ricchezze, Palermo perchè regina dell’isola, si combattevano i concittadini, le famiglie, i congiunti, in guerra, non che civile, domestica. Quei soli due valli erano contrarii al governo di Napoli; gli altri cinque obbedienti. Il re nominò suo luogotenente il principe della Scaletta, e comandante delle armi il generale Florestano Pepe che andò a Messina, vi dimorò pochi giorni, ed inatteso ritornò in Napoli.

Così passando i giorni, la rivoluzione di Palermo rinforzavasi. Quella giunta sovrana, con alterezza di governo, mandò in Napoli ambasciatori per patteggiare da stato a stato, mentre nello interno faceva nuove leggi sovversive delle antiche, chiamava eserciti, nominava magistrati, usava la sovranità negli attributi maggiori. Ma la bruttavano le turpitudini dell’anarchia: violenze nella città, correrie nelle campagne, spoglio dei presi contrarii, ed in ogni loco uccisioni e rapine; non fu salvo il banco dove stava in deposito il denaro pubblico e privato; non furono salve le biblioteche, le case di scienza e di pietà: cose umane e divine la stessa furia distruggeva. Gli ambasciatori domandavano pace; mirando ad ottenere per patti le speranze della ribellione, ossia il governo di Sicilia separato da quel di Napoli; ivi la stessa costituzione di Spagna, lo stesso re, i due stati confederati. Prima di rispondere agli ambasciatori si consultò. Materia gravissima era la contesa tra due stati, sostenuta da due eserciti combattenti in guerra civile, e due nazioni sollevate, inanimite una da diritti naturali ed antichi, l’altra dalle presenti giustizie: per interessi di gran momento, in politica nuova,