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246 LIBRO NONO — 1820.

di nazionale vergogna e di straniero barbarico dominio; Gaeta non aveva riparato tutti i danni dell’assedio del 1806; Capua, rosa dal tempo, a parti a parti rovinava. Delle quali fortezze in breve tempo si restaurarono i bastioni e si accrebbero; si alzarono altre fortificazioni nella frontiera, così che ogni entrata nel regno fosse impedita e difesa; si ridussero a fortezze occasionali Chieti, Ariano, Montecasino; si tracciarono due gran campi, a Mignano ed Aquila, quello compiuto per opera del general Carascosa, questo non mai cominciato per le improvvidenze del general Pepe. Altre linee, altre trincere, altri forti erano segnati nella Calabria e nella Sicilia.

Oltre alle milizie assoldate, si composero le civili, ajuto delle prime o riserva. Tutti gli uomini atti alle armi (atti sentivansi per fino i vecchi) furono ascritti, chiamando i più giovani legionari, i meno giovani militi, gli anziani urbani; con legge che i primi, richiesti, si unissero all’esercito, i secondi difendessero la provincia, gli ultimi la città o la terra. Erano delle tre specie duecentomila.

Ma a così grandi forze invaniva la carboneria. Essendo per essa in ogni reggimento due ordini di gradi, cioè della milizia e della setta, i militari discendevano dal primo all’ultimo, i settarii ascendevano dall’ultimo al primo; un colonnello sopra tutti nel campo, era infimo nella vendita, ed un sotto-uffiziale, infimo nelle ordinanze, spesso era primo nella setta. Si scontravano si confondevano i doveri, la disciplina fu spenta. I lodatori della carboneria (ignorantissimi di guerra) all’incontro dei descritti mali vantavano l’entusiasmo dei soldati settarii: non pensando che le impetuose passioni, raramente cagione di alcun prodigio, lo sono più spesso di rovina; e che l’ardore delle milizie, se legato all’obbedienza, è invincibile, se libero si scompiglia. Nelle notturne adunanze scrutinavasi l’animo e le azioni dei generali, e, come è natura delle basse congreghe, si diceva chi traditori, chi contrarii alla libertà; della quel censura pigliando sdegno i generali, si concitavano vicendevoli dubbiezze e discordie. Fu maggiore il pericolo poscia che il general Pepe, non avendo pregi e fama da reggere il credito e la possanza in esercito bene ordinato, datosi ai settarii, gl’ingrandi dell’aura del suo nome e dell’autorità di capo supremo dell’esercito.

Visti quei mali, la giunta di governo e i ministri, adunatisi per trattar dei rimedii, chiamarono a consulta il capo della polizia Pasquale Borrelli, per natura scaltramente ingegnoso e per lunga usanza esperto delle brighe di stato. Egli opinò di non reprimere la carboneria, ma spiarne le pratiche, dirigerne le voglie e l’opera; e soggiungendo che d’assai tempo egli usavi quel modo, discorrendo i casi e i successi, pregando a non recidere o intricare le