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LIBRO NONO — 1820. 249

che cesserà la ribellion di Palermo, o la colpa di durarla resterà tutta dei Siciliani, non divisa, quale oggi appare, col popolo e governo di Napoli.»

Ma nulla ostante, i ministri del re, con pompa di vecchio astuzie, dieron risposte vaghe, disadatte: non concederono, non rigettarono Napoli, come avviene nella vera o creduta libertà, voleva esser tiranna sugli altri; sì che sdegnandosi della offerta pace, la chiamava temerità e seconda ribellione maggior della prima. Superbia nostra impediva gli accordi, superbia propria concertava nuove discordie nell’isola; ed a questa insensata passione son debite tante morti e tanti danni. Le città più avverse erano Palermo e Messina, che per qualità di natura e di stato hanno condizione sì varia che mancherebbe, se lo sdegno non le acciecasse, ogni motivo al contendere: Palermo è capo, Messina è forza dell’isola; l’una dellaltra libera e bisognosa. Ma sbandito il ministerio della ragione, le opere dei due popoli e dei due governi erano turpi e disordinate. Il re offeso nel nome, nei beni, nella potestà, nel decoro, voleva sulle ribellate province aspro e sollecito gastigo; secondavano quello sdegno i ministri, la giunta, il popolo; fu apparecchiata una spedizione di novemila fanti, cinquecento cavalli, un vascello, due fregate, parecchi legni minori da guerra e da corso; tremila altri fanti erano in Messina, Siracusa e Trapani. Si consultava nei consigli del re la scelta del duce supremo di quelle squadre, quando voce di popolo (in grazia del nome) preconizzò il generale Florestano Pepe, che il governo nominò e pregò; però che quegli a mal grado accettava l’onore.

L’armata sciolse le ancore al finir di agosto, e pochi giorni appresso arrivò in Sicilia: duemila fanti guidati dal colonnello Costa aggiravansi per lo interno dell’isola onde ritornare all’obbedienza i paesi ribelli, rassicurare i fedeli, contenere gl’incerti. Il generale per la più diritta via marciava sopra Palermo con diecimila soldati, avendo unito alle sue schiere alcuni battaglioni di milizie calabresi, e parecchi drappelli volontarii della Sicilia. In tutti gli scontri vinsero i Napoletani, che, sebben di numero minori, prevalevano per uso ed arte di guerra; ma sì poco e sì tardi si raccontavano tra noi le geste di Sicilia, che il popolo, credendole avverse, tumultuava. Si acchetò quando si volse a nuove cure di stato, alla elezione del parlamento.

XVII. I collegi elettorali furono affollati come in paesi di antica libertà; lo zelo del pubblico infaticabile, il giudizio severo: i primi offici della elezione erano sperati non contesi; e se alcun mai pregava o consigliava per sè o per altri, subito palesato e accusato, si mutava in demerito quella preghiera o consiglio. Così oneste furono le prime congreghe, non così tutte le seconde e le succedenti: e