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294 LIBRO DECIMO — 1821.

quelle amministrazioni agli uffiziali del municipio. Error grave in secolo di non puri costumi, ed in paese dove non trovi città o terra che non abbia il suo maggior potente, non per merito di virtù (che seria benefica preminenza), ma per uso di forza! Il re disapprovò quella legge. Se non mutavano i tempi, il governo inchinando verso le libertà, il parlamento verso le regole, si ricomponeva legge come le altre profittevole e sapiente. Per la finanza pubblica, benchè subbietto di continuo esame, si fecero poche e transitorie ordinanze, nessuna legge. Contrastavano al proponimento di miglior sistema le condizioni dei tempi, la guerra vicina, il ritegno a muovere quell’una parte di pubblica amministrazione alla quale tutte essendo legate, può un fallo, una inavvertenza, la stessa inopportunità di ottima legge produrre danni gravissimi. Era fatica per il vegnente anno, quando il parlamento sperava maggior sicurezza e minori ansietà di governo. Appariva frattanto che preparasse minorazion di tributi, economie nell’esercito; separazione delle casse di provincia dal tesoro pubblico, e che volesse render la libertà testè perduta alle amministrazioni di pubblici stabilimenti, e far palesi per divolgati conti e sindacati, le entrate, le uscite del denaro comune.

Sperati beni che non si ottennero; ed anzi bisognò ritirare dalla cassa di sconto un milione di ducati, e vendere ducati cinquanta mila di annuo frutto sulle inscrizioni possedute in maggior somma dalla finanza. Poco profittò il prestito forzato, nulla le vendite de’ beni dello stato. Doveva la Sicilia all’erario comune quasi metà dell’annuo tributo. Si pagarono alla casa Torlonia di Roma ducati seicento mila prestati nel 1816 per le ingrate spese del congresso di Vienna. Si mantennero gl’impegni co’ potentati barbareschi. Così che a computare le sopraddette somme vedesi che nulla o poco disperse lo stato per i casi di quel tempo; e frattanto ristaurò le fortezze da tempo immemorabile abbandonate, provvide armi nuove, fece alcun vantaggio a’ popoli per la diminuita imposta del sale e per lavori di guerra e guadagni nuovi. La finanza del 1821, succeduta al descritto tempo costituzionale, disse iniquamente che la povertà dello stato, il debito salito a cinque milioni e mezzo di frutto da solo ottocento mila ch’egli era sotto i re francesi, le taglie di un buon terzo cresciute, gli stenti, la miseria delle famiglie, provenivano da disordini e dalle fraudi dell’ultima rivoluzione: addebitandola delle spese de’ congressi di Laybach e di Verona, delle regie profusioni ne’ viaggi, de’ doni fatti a ribocco per ricuperare la maestà del regno, del mantenimento per quattro anni de’ presidii tedeschi, e dello spendere continuo per le spie, per la polizia, le prigioni di stato, gli ergastoli. Menzogne infami che palesate al mondo ritornano a vergogna de’ mentitori.