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296 LIBRO DECIMO — 1821.

lo scandalo dei giudizii; rifare lo stato del 1820; rigidi sull’avvenire, benigni al passato, coprire col silenzio e con la dolcezza un fallo comune de’ soggetti e de’ reggitori.

Le quali benignità spiacevano al Canosa, che però, concitando gli sdegni del re, consigliava di pregare i sovrani del congresso a rigidezze maggiori; e scritte alcune lettere in forma di orazione, ed inviate a Laybach dal re col nome del suo ministro, non valsero a mutare i benevoli proponimenti. Dipoi per i fatti di Rieti e per le rivoluzioni del Piemonte, sicuro ed inasprito l’animo di quei potentati, di nuovo pregati dal re di Napoli, gli dierono libero impero. Felice il Canosa della sfrenata tirannide, fermò le massime di governo, che furono:

Punire ne’ sudditi ogni colpa, vendicare ogni offesa del lunghissimo regno del suo signore; schierare alla memoria gli odii presenti, e quelli del quinquennio, del decennio francese, della costituzione di Sicilia, della repubblica napoletana, de’ primi moti del 93; opprimere i mal sofferenti di assoluto governo colla morte, le prigioni, gli esigli; schivare i giudizii, come lenti; presto punire per proprio senno; rompere il trattato di Casalanza, e tutti i precedenti o trattati o perdoni; prender il destro per nettare il regno da’ nemici de’ troni.

IV. E tanto più che un novello tumulto accreditava la sentenza di lui che non per travagli o disastri, assai meno per benefizii o pietà, ma solo per morte o per impotenza di ribelli si assicuri l’imperio de’ re, che era per lui la quiete de’ regni. In Messina, forte d’armi e di ricchezze, inteso le sventure di Rieti e le fughe degli eserciti e l’avvicinamento dell’oste tedesca, i carbonari molti ed arditi sperarono difendere per sè la giurata costiluzione, purchè i presidii della città fossero compagni al disegno ed a’ pericoli. Reggeva le milizie di quel vallo il generale Rossaroll, vago di libertà e per natura immaginoso ed estremo. A lui, il 25 marzo, andati come oratori i primi della setta, e da lui promessi gl’invocati ajuti, insieme concertarono i modi della impresa. Rossaroll sarebbe il capo; i soldati per le leggi delle milizia, i settarii per propria scelta gli obbedirebbero; e però che settarii e soldati erano le forze maggiori o le sole dell’isola, sarebbe facile l’azione, certo il successo, i primi moti darebbero consiglio per i secondi, questi per gli altri, però che prefiggere il cammino alle rivoluzioni è come segnar prima il corso di nave che andrà fra le tempeste; sta la speranza del navigare nel buon legno e nel buon pilota. Tali cose dette da’ cospiratori e fermate in animo, passati gli avvisi nella notte ai settarii della città, ciascuno tra le ambizioni e le speranze del proprio ingegno attendeva impaziente i primi albori prefissi al movimento.

Spuntato il giorno, cominciarono i tumulti, ed in poco d’ora