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300 LIBRO DECIMO — 1821.

ebbe da ignota mano trafitto il fianco; vicino a morte, rivelò quali persone per le sue false accuse stavano in carcere: morì, ma senza pro ai discolpati. Altro tristissimo (un certo Avitaja), nel mezzo della notte conferendo, come soleva, col ministro Canosa, si levò all’improvviso e vacillando su i piedi chiese ajuto : accorse il solo che poteva, il ministro; ma quel moribondo gli appoggiò la fronte sul petto e spirò. Casi orribili, che divolgati aggravavano la mestizia de’ tempi.

VI. Per nuova legge si condannarono alle fiamme, oltre i libri interdetti dal pontefice, il catechismo sino allora insegnato nelle chiese, e si minacciarono gravi pene a’ possessori. Quel libro composto nel 1816 per le cure del governo era stato cavato dalle opere he morali del Bossuet; sembrando pericoloso per i nostri tempi noverar fra i doveri del cittadino la difesa e l’amore della patria, e non volendosi in Napoli cittadini ma sudditi, non patria ma trono, fu odiato il libro e proscritto. I fatti seguirono le minacce: visitate nella notte parecchie case, raccolti molti de’ vietati libri, tratti nel carcere i possessori, disposti que’ volumi a rogo nella piazza Medina, furono per man di birro, mentre il banditore pubblicava la infamia, bruciati. Erano il catechismo, la dottrina cristiana, i doveri sociali, e il Voltaire, il Rousseau, il Montesquieu. Da’ quali fatti avvisati del pericolo i possessori di biblioteche, distrassero gran numero di libri, fin gl’innocenti e i più istruttivi e giovevoli. Un anno appresso si aggiunse alla censura de’ libri stranieri dazio sì grave che ne impediva l’entrata. Il ceto de’ librai venuto in povertà, dimostrando che per il troppo dazio era scemato il benefizio della finanza, pregò per l’abolizione della legge il ministro Medici, il quale dichiarò: essere lo scopo di quella gravezza non la utilità finanziera ma la ignoranza del popolo; così che i loro argomenti si volgevano a sostegno della legge. Sincerità invereconde, da tempi ed uomini corrotti.

VII. Così stava inorridita ed afflitta la città, quando con magnifica pompa vi giunse il re, tra feste preparate dall’adulazione e dal timore. I discorsi de’ magistrati, della municipalità, della università, delle accademie, fatte al re per gratulazione del ritorno esaltovano la giustizia e la pietà di lui; lo chiamavano padre del suo popolo; adombravano con laude i mancamenti e lo spergiuro. Ed egli, tornato appena, provvedendo alle cose sacre, concesse a cherici la cura della pubblica istruzione, a’ gesuiti le antiche sedi e ricchezze, ad altri monasteri e società religiose doni e stipendii. L’esempio secondava le leggi, perocchè spesso co’ principi della casa, e cortigiani, e ministri, egli assisteva divotamente alle funzioni di chiesa, comunque volgari e ordinarie. E non bastando i precetti e l’esempio, aggiunse i premii e le pene; togliendo di carica quei che mostravano larga coscienza, e dando impieghi e