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LIBRO DECIMO — 1821. 301

favore a coloro che in ostentata divozione compivano i riti della chiesa. Perciò la religione che ne’ padri nostri era di coscienza, oggi divenuta d’interesse, fu ipocrisia ed inganno: infimo stato dell’anima.

VIII. De’ militari e settarii di Monteforte, alcuni, come innanzi ho rammentato, fuggirono; altri stavano palesi e spensierati, non indotti a partirsi dalle astuzie della polizia, nè dal vedere in carcere gli ultimi di quel rivolgimento del quale eglino erano i primi. Il re voleva scansare quel giudizio per non esporre a pubblico dibattimento e registrare in processo fatti poco degni del regal decoro; ma non poteva dissimulare colpe sì gravi, senza perdere la facoltà di punire le minori. Però facendo l’ultima prova, con editto del 30 maggio, giorno del suo nome, disse di perdonare i delitti della rivoluzione, ma non quello de’ militari o settarii che accamparono in Monteforte. Lo studio del re a scacciarli era per coloro maggiore argomento a restare; insino a che lo sdegno e la politica di lui vincendo il pudore, tutti ad un giorno furono chiusi nelle carceri, e l’editto e ’l perdono restaron cassi. Si aprì il giudizio di Monteforte.

E tutto dì crescevano le cagioni e gli effetti del rigore. Numerosi stuoli di liberali, per contumace ingegno e per difendersi dalle persecuzioni della polizia, correvano le province; e la più parte, come ricchi e potenti uffiziali poco innanzi delle milizie o principali della setta, avevano seguaci, amici, aderenti, denaro, armi, conoscenza de’ luoghi, mezzi di guerra lunga e sanguinosa; Il capitano Venite, il capitano Corrado, il maggiore Poerio, il colonnello Valiante, ed altri di grado e fama, stavano armati nelle campagne, più spesso ne’ piccoli paesi, pur talvolta nelle città, ribelli all’autorità del governo, imperando sul popolo, non per imporre taglie o tributi, avidi solo di libertà. Il capitano Venite con le sue genti, un giorno dopo aver fatte le cerimonie sacre della setta, assaltarono Laurenzana, città grande di Basilicata, combatterono e vinsero le guardie del carcere per far libero un settario; ma impedirono agli altri prigioni di uscirne, non volendoli compagni, nè liberi, perchè rei di misfatti: tale è la natura di quella setta e di quei tempi. Felice il Venite in Laurenzana, assaltò nella notte le carceri di Calvello, altra città, e ne trasse un frate, settario anch’esso, fra Luigi da Calvello. Il quale, messo il piede in libertà, vestito da Francescano, chiese alcun’arme e l’ebbe. Un uomo stava in disparte legato; perchè imbattutosi ne’ settarii, mentre andavano agli assalti del carcere, fu trattenuto, non come nemico o avverso, ma per prudenza del delitto. A questo misero il frate si avventò; e per dare argomento d’animo fiero, non dechinato sotto i travagli della prigionia, con molti replicati colpi l’uccise.