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LIBRO SESTO — 1808. 39

ed impaurì gli abitatori della riviera di Chiaja: e veramente per esplosione di polvere precipitarono ventidue stanze del palagio di Serracapriola, abitato dal ministro di polizia Saliceti. Egli stando in altro braccio dell’edifizio sentì solamente scuotere le mura come da tremuoto; ma la figlia gravida di sei mesi, ch’era in letto ancor desta, fu tirata con le rovine della camera nella corte, cd ivi coperta di sassi e di calcinacci; lo sposo, duca di Lavello, cadendo si divise da lei e restò tramortito sulle rovine: precipitavano dall’altezza di quarantasei palmi, che sono metri dodici.

Il ministro, che momenti prima era entrato in casa, sollecito della figlia, seguito da un servo, salì all’appartamento ov’ella dimorava; ma sì denso era il fumo, e più del fumo il polverio, che la luce di un doppiero sembrava morta, ed egli camminava per pratica del luogo, gridando: Carolina, Carolina (era il nome di lei). Ad un tratto mancò il suolo; egli cadde col servo sulle ammassate rovine, e sollevato da parecchi nel palagio accorsi, trascurante di sè benchè ferito, non ristava a cercare della figlia.

Un famigliare di lui, Cipriani, lo stesso che anni dopo morì in Sant’Elena servendo Bonaparte, prega da tutti silenzio; e montando sopra quei cumuli, abbassa a terra il capo, e da luogo in luogo, da fesso a fesso tra le rovine va chiamando con voce altissima e prolungata, Carolina; e tosto dove ha messo il labbro adatta l’orecchio per sentire o risposta o lamento. Alla quarta pruova pargli udir voce; e più attentamente ascoltando, grida verso i molti che pendevano da lui: È qui, correte. Tutti accorrono, e sì ch’è inciampo lo zelo, tardanza la sollecitudine; ma quella misera disotterrata, trasportata come morta in una vicina stanza del terreno, risensata dopo alcun tempo, vedendosi nelle braccia del padre, esclama a lui troncamente: Ricerca del marito.

Fra le angosce di poco innanzi trovato sulle rovine un corpo nudo creduto morto, portato fuor del palagio, erasi lasciato sulla strada. Quegli era il duca di Lavello, che dipoi conosciuto e confortato riebbesi, e si raccolse nella camera istessa col suocero e la moglie: tutti e tre in vario modo, con diversità di pericolo, feriti; il servo caduto col ministro n’ebbe infrante le gambe; altro servo che dormiva in una delle dirupate stanze, vi fu morto; cinquantatrè persone abitavano il palagio, e, purchè l’uno morisse, non furono di ritegno al delitto. Nella mattina, trentuno di gennajo, la città di quei casi informata intimori; i nemici di Saliceti, che molti ne conteneva la corte di Giuseppe, ragionavano dell’avvenimento con sorriso e dileggio; la polizia ne fu svergognata, Saliceti da cento punte trafitto; delle quali asprissima era l’offesa vanità, e il vedersi vinto in astuzie, ch’erano a lui tesoro di antica fama e mezzi presenti di uffizio e di ambizione, Tal uomo che partigiano di libertà,