Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 II.pdf/44

Da Wikisource.
40 LIBRO SESTO — 1808.

o ministro di re, fra gli sconvolgimenti di Francia e d’Italia, intrepido aveva affrontato mille pericoli di rivoluzione o di guerra, ora largamente piange di affetto comune, la vergogna.

XLI. Disgomberando le rovine, si trovarono i resti di una macchina tessuta di corde intrise nel catrame, avvolte a molti doppii, capaci di trentamila rotoli di polvere (kilogrammi 29 ⅓). Era stata collocata sotto l’arco di una scaletta interna dell’edifizio, alla quale avendo solamente accesso un tal Viscardi, settario dei Borboni, nemico a’ Francesi, uomo tristo e di mala fama, lasciato in quel luogo con la sua farmacia per trascuranza o fatalmente, fu insieme a due figli e tre discepoli carcerato. Molte altre ricerche nella città e nelle province usava la polizia, più che non mai vigile ed operosa, famelica di vendetta; ella spiando ogni casa, ogni uomo, scoprì altre congiure ordite contro lo stato, e criminose corrispondenze con la regina di Sicilia, con la Villatranfo, col Canosa; e trame, combriccole, disegni atroci. Molte persone, per lo più ree, e pur taluna innocente, furono imprigionate; più molte fuggirono o si nascosero, tutti tremavano: un misfatto di fazione si slargò in calamità pubblica.

Alcuni degl’imprigionati, e sopra tutti i Viscardi, erano governati aspramente dagli uffiziali di polizia, e perciò il padre per debolezza di età, numerando settantasei anni di vita, o per abituale perfidia, rivelò, avuta promessa di perdono, tutte le parti del delitto. Disse essere opera della regina di Sicilia e del principe di Canosa; emissarii, alcuni venuti di Palermo, ed altri tenuti in pronto in Napoli; scopo, la morte di Saliceti per odio e perchè inciampo al preparato rivolgimento del regno: descrisse la macchina e dove collocata, e quando (all’entrar del ministro nel palagio) diedero fuoco alla miccia onde colpirlo mentre passava per la camera soprapposta, e come la esplosione fu ritardata dalla timidezza dell’incendiatore, ed in qual modo fuggirono i colpevoli sopra barca verso Ponza o Sicilia. Rivelò nomi, tempi, particolarità; mescolò cose false alle vere; incolpò un figlio assente e sicuro in Palermo; ma giorni appresso, non più lui in potere della polizia, non istraziato o minacciato, ma sol temendo che la promessa impunità non sarebbe attenuta se tutto non rivelasse, accusò i due figliuoli carcerati con seco e sopra i quali pendeva la scure della giustizia, Ma quell’accusa, scritta di pugno dell’empio padre, gli fu resa dal compilatore del processo; e se del fatto si ha contezza si debbe al Viscardi stesso, che nel dibattimento, rimproverato di alcun suo mendacio, egli in argomento di sincerità citando il foglio, lo fe’ palese al tribunale ed al pubblico.

Sulle tracce delle rivelazioni di lui, e sopra altri documenti scoperti per industria degl’inquisitori, compilato il processo in pub-