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LIBRO SETTIMO — 1809. 67


Ed alfine, al dechinare del sole entrarono in porto mentre le navi nemiche, offese dalle nostre batterie, si slargavano; e cessato il combattere, grido festivo si alzò da varie parti della città: che i più schivi alle nuove cose, i più nemici di Murat, i più amici dei Borboni, pure in quel giorno palpitarono di pietà, di patria e di onore. Non appieno finito il combattimento, il re andò sopra i due legni, fece lode pietosa dei morti, giuliva dei presenti, e diede promesse, adempite nel seguente giorno, di premii e doni. Le due navi rimasero invalide al navigare; furono molti i morti della nostra parte, ed al doppio i feriti, nè leggiero il danno degli Anglo-Siculi.

I quali tornarono all’usata pigrizia; ed il re, che sino allora aveva comandato al generale Partounneaux di non muovere da Monteleone, mutato consiglio, impose di assaltare il nemico e scacciarlo dalle Calabrie. Marciava il generale, ma prima che giungesse in Scilla e Melia, gli Anglo-Siculi, levando a furia l’assedio e ’l campo, abbandonarono artiglierie, altre armi, attrezzi, ospedali e cavalli. Pochi giorni appresso, intesa la battaglia di Wagram, i prodigiosi fatti della Germania e l’armistizio tra la Francia e l’Austria fermato in Znaim, il nemico smurò i forti e le batterie di Procida ed Ischia, rimbarcò le genti, abbandonò le isole, richiamò per segni le altre sue navi che scorrevano lungo i nostri lidi, e tornò ai porti della Sicilia e di Malta. Fu questo il fine di una spedizione pomposamente annunziata, minaccevole agli atti, pigra alle opere.

XV. Terminata la guerra esterna, si accese la interna, vasta quanto non mai ed orrenda. I briganti lasciati sopra terra nemica non avevano altra salute che vincere; e per la simultanea loro entrata in tutte le province del regno, fu generale l’incendio. Quando Le milizie assoldate erano state nei campi, e le civili a difesa della città, i briganti avevano dominato spietatamente nella campagna; e perciò liberi e fortunati per due mesi, crebbero di numero e di ardire: formati in grosse bande sotto capi ferocissimi, una entrò in Crichi, paese di Calabria, e dopo immensa rapina, fuggiti quei che per età robusta potevano dar sospetto di resistenza, vi uccise quanti vi trovò, vecchi, infermi, fanciulli, trentotto di numero, tra’ quali nove bambini di tenerissima età. In Basilicata altra banda assediò nel suo palagio il barone Labriola, che alfine, vinto dalla fame, si arrese, e dopo patto di vita e di libertà egli e la sua famiglia (sette di ogni età, di ogni sesso) furono trucidati. Sul confine tra Basilicata e Salerno milatrecento briganti, dei quali quattrocento a cavallo, campeggiavano apertamente; e non più fuggitivi come innanzi, ma sicuri, entravano nei paesi grandi e popolosi. In una imboscata di questa banda, nelle strette del Marmo, s’imbattè il giovine generale de Gambs, che per velocità del suo cavallo uscì del bosco; ma viaggiando dietro lui donna ch’egli amava, e che avea fatta madre di