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libro secondo 95

sche e lodigiane, soccorsa da Crema, mandò fuori Milano il suo esercito contro Pavia. Nel dì dodicesimo di Agosto si scontrarono i due sforzi appresso un fiumicello detto Lavernagola; fu combattuto da mane a sera da ambe le parti con tanta rabbia, che separate dalla notte, nissuna potè conoscere ove fossesi inchinata la vittoria. Ma il cadere fortuito di una tenda in mezzo alle tenebre mise tale uno spavento tra i Milanesi, che tenendosi improvvisamente assaliti, abbandonarono il campo al nemico colle armi e le bagaglie1.

Era l’ottobre, ed un’altro nemico più potente si affacciava alle porte d’Italia. Veniva Federigo grosso e poderoso di un esercito, che non era venuto il simile da Lamagna nei tempi andati per numero di soldati e di Principi che li guidavano. Sboccò in Italia pel val di Trento, e venne a campeggiare il lago di Garda. Quivi ristette Federigo ad aspettare il ragunamento di tutte le milizie. Pensi il lettore che uomini di buona volontà fossero tutti questi Tedeschi, che conduceva il Barbarossa per ministrar giustizia in Italia. Non era un esercito uso a disciplina militare; bensì uno sterminato accozzamento di gente varia di costumi, che ciascun Duca, Vescovo od Abate ragranellava nella sua signoria, e si spingeva innanzi ad un cenno del Re. Erano milizie feudali indurite nel servaggio; le quali nella guerra gustavano quella libertà, che han le bestie per le selve. Uscir dalle nevi del Settentrione e scendere nelle tiepide regioni italiane era un paradiso: dal difetto di que’ conforti, di che si fa commodo e gentile il vivere, trovarsi repentinamente nell’abbondanza de’ medesimi era un tentare la temperanza di quei nortici oltre le loro forze. Contenerli era un impossibile: ed ove fosse stato possibile, non vi era chi il facesse. I capi erano pure tedeschi. Aggiungi che il freno, volendosi dal Re, neppur poteva stringersi secondo il debito: ripeto, eran milizie feudali: un po’ di rigore, qualche

  1. Otto Morena p. 971 e seg.