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lamentassero le brutali accoglienze ricevute in Germania. Adriano si metteva in punto di Pontefice sommo, a punire una così plebea violazione della ragione di Dio e delle genti: gli era alle spalle Guglielmo poderoso alleato, a fronte Milano con le lombarde repubbliche. Ma gli fu forza rimettere dalla severità del proposito, per la discordia de’ Cardinali, che lo circondavano; chi teneva per l’Impero, e condannava la condotta de’ Legati; chi per la Chiesa, e la lodava. Si mise in sulla via degli accordi. Scrisse ai Vescovi ed Arcivescovi di Germania, esortandoli che volessero rammorbidire l’animo di Federigo, e ricondurlo pel retto sentiero. Ma quegli erano meno cherici, che aulici; risposero, rincalzando le male opere di Barbarossa; e pensandosi, che il dipinto Lotario fosse ancora ai piedi del Papa nel palazzo Lateranense, rinnovavano le lagnanze per quei Benefizi che Adriano affermava aver largito a Federigo, i quali rendevano sapor di bestemmia per lesa dignità imperiale1.

Laonde correndo voce ognor più certa del prossimo ritorno di Federigo in Italia, Adriano si affrettò a racconciarsi con lui. Gli spedì altri due Legati, Arrigo Cardinale de’ Santi Nereo ed Achilleo, e Giacinto di S. Maria della Scuola Greca, con lettere più dolci, nelle quali si sforzava fare intendere al Tedesco, che quella voce Beneficio non suonasse Feudo, bensì buona opera, che lega di riconoscenza cui si rende a chi la fa; e ciò significava con ogni più studiato modo di cortesia e di mansuetudine. Ma a que’ dì gli ambasciadori che ponevano il piede in Germania, se volevano tornarne vivi, dovevano farvisi condurre dagli eserciti, perchè i Tedeschi non sapevano ancora cosa fosse diritto delle genti. Infatti i due Legati non senza fondamento di ragioni temendo quel che poi avvenne, menarono seco il Vescovo di Trento, perchè li assicurasse colla sua presenza, come più conosciuto in quelle parti. Ma neppur valsero queste cautele; l’entrar nel Tirolo, e trovarsi nelle

  1. Idem Ibi.