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libro secondo | 131 |
unghie di due ladroni, che avevano titolo di Conti, fu una stessa cosa. Furono da questi spogliati, e gittati in fondo di carcere; donde poi furon tratti colla forza da Errico Duca di Sassonia; e così potettero appresentarsi all’Imperadore Barbarossa. Questi che si trovava tutto in far massa di gente, ed in punto di calare in Italia, ed a cui non pareva prudente consiglio durare nella papale inimicizia in una pericolosa guerra che intraprendeva, si mostrò sodisfatto delle lettere di Adriano, e fece pace con lui. Pace, che non andò tanto addentro nel cuore di entrambi, perchè occupati da gelosissime idee papale ed imperiale; le quali ove anche gli uomini che le rappresentano scendano agli accordi, staran sempre deste, irrequiete, a tenersi in uno scambievole rispetto. Perciò quando Federigo quassava le briglie sul collo delle selvagge moltitudini tedesche ad urtare la impalpabile unità morale d’Italia, che si andava edificando ne’ faticosi studî delle Lombarde Repubbliche, il Papato, avvegnachè amico Adriano, conturbato l’andava vegliando, e ricercava nel petto di Rolando il cuore del terzo Alessandro.
Si commoveva tutto il tedesco Impero ai cenni di Federigo contro una Italiana città, dico Milano. Aveva questi bandito nell’anno 1167 una Dieta in Ulma, in cui dovevano convenire nel dì di Pentecoste tutti i Principi co’ loro vassalli, e di là muovere con poderoso esercito a domare quella generosa Repubblica. Prometteva ai convocati Principi, che non li avrebbe fatti oltrepassare l’Appennino1. Spiccò ad un tempo due Legati in Italia, che gli aprissero la via, spargendo voce della grandezza dello sforzo tedesco, che era per condursi a ristorare le sante ragioni dell’Impero; raffermassero gli affezionati a Germania, intimorissero i nemici e risvegliassero a guerra i feudatari dell’Im-
- ↑ Ott. Fris. l. 2. c. 31 ..... certus (scriveva a Ottone) quod nec te, nec aliquem principum nostrorum Montem Appenninum transire cogemus.