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172 della lega lombarda

apparentemente amici dell’Imperadore, con potettero tanto celatamente andare le amorevoli provvidenze verso Milano, che quegli alla perfine non se ne addasse, e li bandisse nemici dell’Impero1.

Ma fu veramente un salutevole partito quello che presero i Milanesi di voltarsi al Papa, per chiamarlo a parte dei loro pericoli, ed ove lo avessero consentito i Cieli, anche de’ loro trionfi. Le armi si spezzavano, gli uomini si uccidevano, le idee stavano. E queste idee durature e tetragone alla furia del Barbarossa, non altri che il Pontificato poteva infondere negli spiriti italiani. Vedemmo come questo Imperadore superbamente si conducesse con Papa Adriano; perciò non è a dire come questi avesse l’animo torbido verso di lui, e spiasse il destro di qualche umano sostegno, che il sorreggesse nel farglisi incontro riprenditore. Ora appunto a tale suo uopo vennero i Milanesi, i Bresciani ed i Piacentini stretti con sagramento in lega, che fu come la sementa di quella grandissima, di che narreremo appresso. Si appresentarono questi all’antico e provato propugnacolo di ogni umana giustizia, dico alla Sedia papale, chiedendo aiuto contro al truculento Tedesco, che ad un giogo voleva sommettere l’Italia e la Chiesa, chiedendo mescolarsi le sorti di entrambe da comune nemico minacciate. Adriano stese la papale destra a Milano, Brescia e Piacenza, e fermò con esse un trattato, per cui non dovevano far mai pace con Federigo, senza che ne avessero da lui licenza o dal suo successore; ed egli doveva fra quaranta dì lanciare sul fellone Augusto le folgori della scomunica. Si accostò subito a questa lega la combattuta Crema2. Così il Papa messosi a capo della piccola lega incominciò a santificare lo scopo, per cui combattevano quegl’Italiani, a stornare gli animi dalle basse gelosie che li rodevano, ed

  1. Ib.
  2. Sir Raul. S. R. I. vol. 6. p. 1183.