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libro terzo 215

scemo d’un occhio e delle nari. Metteva poi gli agguati a chiunque da Piacenza o da altra città osasse recar vettovaglie al mercato di Milano. A quanti ne coglieva faceva troncare la mano destra. In un sol dì ben venticinque uomini furono così malamente mutilati dal Tedesco1. A questi infernali furori prorompeva il Barbarossa, mentre in altro conciliabolo ragunato a Lodi dal suo Antipapa Vittore sequestrava dalla Chiesa Vescovi e città. Non credo sia nelle storie esempio di pari ferocia e matta prepotenza in un solo uomo.

Ma le cose in Milano andavano per mala via. L’incendio patito nell’Agosto aveva divorato le molte provvigioni da vivere, ammiseriti molti cittadini, ed il guasto de’ campi innanzi il tempo della messe aveva tolto il come rimediare alle strettezze della fame. Mi penso che le provvidenze dei deputati all’annona, i quali dovevano con rigorose leggi accomunare i nobili ai plebei nella eguale distribuzione delle vettovaglie, avesse inaspriti quelli e resi intolleranti de’ mali dell’assedio. Vero è che gravosissime taglie s’imponevano ai cittadini, le quali si estorquevano anche con la tortura. Pessimi mezzi che non potevano onestare la giustizia del fine2. E questi forse erano i mali frutti che recavano alla patria le cure de’ deputati, ai quali accenna Sir Raul. Infatti si mise una furiosa discordia nella città tra quelli che tenevano per la resistenza, e quelli che si volevano difendere. Fu turbata la pace domestica, e fin per le piazze avvenivano scandalose baruffe tra i discordanti. Era fama che alcuni nobili stretti in congiura covassero il partito di rendere la città all’Imperadore. Era però certissimo che fosse sottilissimo il vivere per difetto di cibo, e non si poteva trarre molto a lungo la resistenza. Una sola libbra di carne di bue a mala pena s’aveva con cento trentasei lire della

  1. Sir Raul. p. 1186. — Otto Morena p. 1097.
  2. Sir Raul. p. 1187.