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18 Antonio Olivieri

Vualperga, Giovanni, che agiva insieme con la moglie Maria, e una seconda Vualperga, con ogni probabilità distinta dalla prima, vendettero e acquistarono beni in Pagliate per varie somme non molto elevate, espresse in generici denari d’argento1. Allo stesso gruppo di documenti sono riconducibili diverse altre carte di compravendita2, ma è solo nel 1032, come si è gia detto, e poi nel 1041 e nel 1049 che si hanno indicazioni monetarie perspicue. Angelberto «filius quondam Restoni de vico Paliade» comperò nel febbraio del 1041 da un Giovanni del fu Angelberto una vigna al prezzo di due soldi di buoni denari di Pavia; otto anni dopo un Alberto «filius quondam Restoni» insieme con sua moglie vendette ad un prete un sedime con edificio di legno e muro posto in Novara «a loco ubi dicitur Quadroblo» per una somma rilevante, computata in due lire di denari milanesi.3

Ci si trova quindi in presenza di un gruppo familiare molto attivo nella compera e nella vendita di terre tutte situate nella stessa porzione del territorio rurale novarese (e poi anche a Novara) a partire almeno dal secondo decennio dell’XI secolo. Che i membri di questa famiglia esercitassero forme di attività creditizia su pegno fondiario è certo: il pegno veniva sia preso sia, sembra di poter dire, dato, sempre in cambio di moneta. Si imprestava e si prendeva in prestito denaro per impiegarlo in altro modo, senza riscattare la terra impegnata, investendo e disinvestendo il denaro nel modesto circuito monetario locale. Nelle mani di questi individui esperti di credito e moneta correva indifferentemente numerario di conio pavese e numerario di conio milanese, il che conferma, dopo le due preziose testimonianze del 1014, come Novara fosse allora soggetta all’influenza di due diverse sfere di circolazione monetaria. Come spesso accade per la documentazione relativa al credito dei secoli centrali del medioevo, non si riesce bene a capire quale sia il profilo esatto dei singoli rapporti che si istituiscono né perché in un documento venga precisato il conio del numerario scambiato tra le parti e in un documento coevo, perfettamente identico dal punto di vista tipologico al primo, ciò non avvenga. Risulta però chiaro come sia la componente soggiacente, benché dissimulata, che impegna il creditore alla restituzione di una quantità il meglio possibile determinata di argento monetato, a imporre le determi-

  1. BSSS 78, pp. 237 sg., doc. 142; pp. 259-261, doc. 154; pp. 284 sg., doc. 168: si trattò nel primo caso di otto denari; nel secondo di una somma non quantificabile a causa di un lapsus del notaio; nel terzo di dodici denari.
  2. BSSS 78, pp. 249 sg., doc. 150 (ottobre 1019, «in suprascripto loco Paliate»): prezzo cinque soldi; BSSS 78, pp. 266 sg., doc. 157 (26 febbraio 1024, «infra vico Paliato»): prezzo cinque soldi; BSSS 78, pp. 294 sg., doc. 175 (19 gennaio 1034, «in loco Paliate»): prezzo un soldo; BSSS 79, pp. 22 sg., doc. 190 (marzo 1043, «infra civitate Novaria»): prezzo venti soldi; BSSS 79, pp. 26 sg., doc. 193 («infra civitate Novaria»): prezzo sette soldi.
  3. Rispettivamente BSSS 79, pp. 10 sg., doc. 183 («in vico Palliade»); BSSS 77/1, pp. 36 sg., doc. 19 (19 gennaio 1049, «civitate Novaria»). Un altro riferimento alla moneta pavese si trova nella clausola penale posta in calce ad un accordo tra i canonici di Santa Maria e i canonici di San Giulio d’Orta definito alla presenza del vescovo Riprando: la parte contravveniente avrebbe dovuto comporre «viginti libras optimorum Papiensium denariorum» (BSS 180/1, pp. 40 sg., doc. 23, 6 agosto 1040, Novara).

Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>