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Circolazione monetaria in Italia nord-occidentale: secoli XI-XII 39

oltre il 1150 le menzioni di numerario nei documenti relativi a Caresana, a Vercelli o a località vicine continuano a essere espresse in denari nuovi di Pavia o semplicemente in denari di Pavia, in modo indifferente e senza dubbio per indicare la stessa moneta. Anche sulla destra del Po, a Casale, dove si ha traccia della circolazione di denari nuovi pavesi sin dalla fine dell’XI secolo1, gli sparsi documenti conservati nell’archivio della chiesa di Sant’Evasio confermano anche per i decenni successivi il dominio della moneta nuova pavese, con una sola menzione dei denari pavesi albe monete nel 1147, ben oltre il periodo di diffusione di questo etichettamento nel Vercellese2.

L’impressione generale di continuità e stabilità dello standard monetario che si ricava da quanto appena detto, impressione con ogni probabilità esatta, non deve indurre a trascurare l’indagine sul significato dell’introduzione dell’elemento qualificativo riguardante l’aspetto della moneta tra il 1118 e il 1131 (ma esso aveva ancora senso alla fine del periodo qui studiato, come attesta la carta casalese del 1147). Nell’interpretazione di questo fatto occorre giovarsi di quanto si è osservato di sopra a proposito della «mediana moneta Papie» attestata dalle fonti astigiane tra il 1123 e il 1138, anch’essa definita in un caso «de albis denariis»3: i bianchi denari nuovi pavesi compaiono nelle carte vercellesi pochi anni dopo la comparsa sul mercato monetario della nuova emissione pavese definita da Caffaro «moneta minorum brunitorum». Come avvenne ad Asti, nel Vercellese la nuova emissione pavese di denari deprezzati non attinse il livello delle transazioni documentate dai notai, sia che ciò accadesse per reazione a una tendenza troppo accentuata all’indebolimento della moneta (secondo il meccanismo di recupero studiato da Toubert) sia che ciò accadesse per il fatto, pure ipotizzabile, che il nuovo debole denaro bruno pavese fosse stato coniato con l’intenzione di soddisfare le esigenze di transazioni che richiedevano numerario dal potere liberatorio ridotto e che restavano fuori dal cerchio dei negozi documentati. Quest’ultima possibilità spiegherebbe sia la reazione dei notai alla novità sia, dopo poco più di un decennio, l’eclissi della nuova etichettatura monetaria, divenuta superflua in quanto i deboli denari bruni persistevano stabilmente nel soddisfare funzioni estranee alla sfera degli scambi documentati nello scritto. Un’ultima annotazione: anche nel caso vercellese, come si è già visto

    novorum Papiensium» (doc. 102), nel dicembre 1134 ventotto soldi generici e due denari «denariorum novorum Papiensium» (doc. 104) e nel maggio del 1135 trentotto soldi (doc. 107) sempre della stessa moneta, forse venti soldi poco dopo, nello stesso mese (doc. 105), sei lire nel marzo 1137 (doc. 110). Per le carte estranee ai Traffo tra il 1134 e il 1150 si veda BSSS 70, pp. 112 sgg., docc. 103, 106, 109, 111, 113, 114, 115, 117, 120 (bis), 121, 123, 131, 135, 136, 142, 143, 144, 145, 158, 150, 151; BSSS 85/2, pp. 213 sg., doc. 1.

  1. Cfr. sopra, testo relativo alla nota 35.
  2. Le testimonianze, fatta eccezione per una carta del 1118 (BSSS 40, pp. 12-14, doc. 9), si concentrano tutte negli ultimi anni del periodo qui preso in considerazione: BSSS 40, pp. 22 sgg., docc. 14, 15, 16, 18 degli anni 1147 e 1150 (il doc. 14 è quello che menziona i denari pavesi «albe monete»). In una vendita del 1105 (BSSS 40, pp. 7 sg., doc. 5) il prezzo è espresso in moneta non etichettata.
  3. Si veda sopra, testo relativo alle note 84-92.



Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>