Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani I.djvu/232

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cipale dello spopolamento, e dell’abbandono dell’Italia, la quale per esser costretta di farsi venire da lontane Provincie la maggior parte delle biade, che le abbisognavano, trovavasi qualche volta tormentata dalla carestìa allorchè le Navi cariche dei prodotti dell’Egitto, o dell’Africa erano trattenute da venti contrarj1.

Gli istessi Palazzi però, e le Ville più vaste, e deliziose potevano appena costar tanto quanto importavano le snppellettili, e i serviti da tavola, che corredar dovevano l’une, e gli altri. Oltre alle inestimabili pitture, e statue.

  1. Tac. III. 53. 54. Quid enim, scrisse Tiberio al Senato, primum probibere, et priscum ad morem recidere adgrediar? Villarumque infinita spatia, familiarum numerum, et nationes! - Quantulum istud est, do quo aediles admonent; quam, si caetera respicias, in levi habendum! At Hercule nemo refert, quod Italia externae opis indiget, quod vita populi Romani per incerta maris, et tempestatum quotidie volvitur. Ac nisi provinciarum copiae, et dominis, et servitiis, et agris subvenerint; nostra nos scilicet nemora nostraeque villae tuebuntur. La grandezza delle case Romane della Metropoli, e molto più la sollecitudine, con cui venivano esse fabbricate, erano tante volte cagione della lor rovina. Tutti i Moralisti, e i Poeti satirici di quei tempi annoverano bene spesso la caduta delle case fra i pericoli della Città, e della vita dei Cittadini. Seneca descrive quindi i Ricchi di Roma come ondeggianti in una continua agitazione pel timore che rovinassero i lor Palazzi. Ep. 90. At vos ad omnem tectorum pavetis sonum, et inter picturas vestras si quid increpuit, fugitis attoniti.