Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani II.djvu/133

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sima di Cicerone non produsse un solo famoso Istorico, ed un sol celebre Poeta, i quali procurassero d’ingentilire ed estendere la Romana favella, giacchè Lucrezio tanto nella tessitura de’ suoi versi, quanto nella scelta delle sue parole era così rozzo, e disarmonico, come lo furono i più antichi Poeti, i quali soprattutto per riguardo alla perfezione della Lingua rimasero molto addietro agli Oratori. Mi sembra una cosa degna d’osservazione, che da Lelio, e da Scipione1 fino a Tacito varj insigni Oratori, Istorici, e Poeti abbiano in tutte le età cercato di segnalarsi con un affettato uso di antiche, o antiquate parole, e costruzioni.

Già negli ultimi anni di Cicerone l’eloquenza politica dei Romani era decaduta in modo che Egli stesso non potè altrimenti descriverla che come vicinissima a divenir muta, o piuttosto resa tale, e quindi riputarla come perduta senza rimedio2. E per dire

    Attico, e il c. 13. dell’Orazione pro Sexto Roscio Amerino. Scelestum facinus, — quo uno maleficio scelera omnia complexa esse videantur. La seguente unione di immagini tra loro incompatibili equivale per lo meno ad un’errore di lingua: consentiens laus bonorum virtuti resonat tanquam imago. Tusc. quaest. III. 2.

  1. In Bruto c. 21. e seg.
  2. In Bruto c. 6. subito in civitate cum alla ceciderunt, tum etiam ea ipsa, de qua disputare ordimur,