Pagina:Storia della geografia (Luigi Hugues) - 2.djvu/24

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sandro di Humboldt1, che se Colombo avesse conosciuto il Commentario di Macrobio — di cui prima dell’anno 1492 erano già state pubblicate tre edizioni — sarebbe stato certamente colpito da questa Terra quadrifida, di cui due parti erano situate nell’emisfero settentrionale, a guisa di quanto supponeva Strabone (Lib. I, Cap. IV, 6); imperocchè un navigante che, partendo dalle coste dell’Iberia, si fosse diretto verso occidente, avrebbe necessariamente incontrato sul suo cammino la massa continentale invisibile per quelli che dimoravano nella nostra Terra abitabile. Se si immagina l’Africa settentrionale separata dalla meridionale per mezzo di un Oceano equinoziale, e l’istmo di Panama surrogato — come forse lo era nei tempi preistorici — da un canale marittimo, la Terra quadrifida di Macrobio sarebbe rappresentata dall’America del Nord, dall’Asia coll’Europa sua appendice peninsulare, dall’Africa e dall’America meridionale.

È singolare la spiegazione che Macrobio dà delle maree. Il letto principale dell’Oceano, formante la divisione tra la coppia settentrionale e la coppia meridionale della Terra quadrifida, si scompone, ad oriente, in due rami, l’uno dei quali si dirige a settentrione, l’altro a mezzodì; lo stesso avviene nella direzione di occidente. I due rami settentrionali si incontrano al nord della prima coppia, e i due rami meridionali si incontrano al sud della seconda coppia: da questi urti sono prodotti il flusso ed il riflusso, e, se in alcun luogo del Mediterraneo si notano questi due movimenti, essi debbonsi considerare come una dipendenza del movimento generale dell’Oceano2.

Quantunque nel sistema geografico di Macrobio prevalga la regolarità che forma uno dei tratti più caratteristici della geografia presso gli antichi Greci, non si può tuttavia arguire, dalle cose che si leggono nel Commentario, che egli adottasse la teoria dei quattro golfi, quale è espressa, tra gli scrittori


  1. Kritische Untersuchungen, I, pag. 167 e 168.
  2. Macrob., In somnium Scipionis, lib. II, cap. 9.